«Il mio lavoro qui è finito» recita un noto meme che circola sui social in cui l’eroe protagonista lascia le scene pur senza avere risolto granché. Un meme che potrebbe essere utilizzato, in maniera scherzosa, s’intende, per raccontare l’ultima parentesi di Benedetto Mineo alla Regione Siciliana, nonostante, è bene dirlo, ha avuto tutte le ragioni per preferire Roma e Palermo, visto anche il pacchetto di poteri studiati apposta per lui dal nuovo ministero per le Imprese e il Made in Italy.
Bagherese, 63 anni appena compiuti, Benedetto Mineo è un esperto in materia finanziaria: laurea con lode in Economia e commercio, master in Diritto amministrativo, perfezionamento post laurea in Scienze giuridiche e amministrative. Un tecnico, dunque, che da sempre dà del tu alla politica, figlio di un dirigente regionale della Democrazia cristiana, anche se non tenta la via elettorale. Alla Regione ci entra nel 1996 da dirigente del Tesoro, per poi diventare nel 2001 capo di gabinetto vicario del neo eletto presidente Totò Cuffaro. L’esperienza in Regione continua fino a quando nel 2009 entra nel mondo delle riscossioni, con l’incarico di presidente del consiglio di sorveglianza di Riscossione Sicilia. Da qui l’impennata nella sua carriera: arriva in Equitalia, dove diventa prima dirigente, poi come amministratore delegato di Equitalia Sud e in fine come amministratore delegato di Equitalia Spa. Nel 2018 l’allora governo gialloverde lo pone alla guida dell’agenzia delle Dogane, un’esperienza che durerà poco più di un anno.
È il 2020 infatti quando, in piena pandemia, arriva la chiamata di Nello Musumeci, in cerca di una figura in grado di guidare una task force di supertecnici in grado di studiare le contromosse per combattere le crisi economica e finanziaria durante l’emergenza Covid. Poco dopo a Mineo viene dato l’onere di occuparsi in pianta stabile degli annosi problemi che affliggono i conti della Regione con la nomina a dirigente generale del dipartimento Finanze e Credito. Ruolo che ricopre tutt’ora. Anzi, che ricoprirebbe, visto che da giugno 2021 si trova in aspettativa. Un’aspettativa prorogata appena mercoledì, perché quando Roma chiama è difficile dire di no. Nel giugno del 2021, infatti, Mineo diventa Segretario generale del ministero dello Sviluppo Economico, mentre a marzo dell’anno dopo gli viene assegnato il compito di dare nuova vita a un ruolo istituito dal governo Prodi nel 2007, ma caduto subito nel dimenticatoio, quello di Mister Prezzi (anche sul sito del governo lo chiamano così), il garante per la sorveglianza dei prezzi. Ruolo quanto mai ingrato visto che ben presto Mineo non solo dovrà fronteggiare gli aumenti sconsiderati durante l’emergenza sanitaria, ma anche il caso spinoso delle ripercussioni della guerra in Ucraina. E senza poteri sanzionatori, ma solo di segnalazione.
Superpoteri che arrivano con il governo di Giorgia Meloni, mentre fuori impazza la bufera del caro carburante, con la presidente impegnata a gestire le schermaglie ora dei cittadini, ora dei gestori delle stazioni di servizio, che non ci stanno a passare per cattivi in una narrazione piuttosto confusa. Così, l’11 gennaio arriva la nomina a segretario generale del ministero delle Imprese e del Made in Italy, dicastero a cui fa capo l’ufficio del garante, che in passato dipendeva dal Mise. E con la nomina anche i nuovi poteri e le nuove grandi responsabilità. Con buona pace della Regione che non ha potuto fare altro che concedere «aspettativa senza soluzione di continuità». E senza retribuzione.
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