«Ottimo per attività commerciali, non adatto per attività culturali. Per info rivolgersi presso: Regione Siciliana». È la descrizione che accompagna l'annuncio realizzato da Antonio D'Amico, violinista e segretario generale della Fistel Cisl di Catania
Il cartello Vendesi nella facciata del Teatro Bellini Autore: «Provocazione per denunciare la situazione»
Un enorme cartello con la scritta Vendesi a caratteri cubitali apposto nella facciata neobarocca del teatro Massimo di Bellini di Catania. «Vendesi stabile storico semi-ristrutturato zona Catania centro. Ottimo per attività commerciali come Mc Donald’s, Starbucks, Kfc o Supermercato. Non adatto per attività culturali (perché di cultura non si mangia). Trattativa riservata, no perditempo. Per info rivolgersi presso: Regione Siciliana». È questa la descrizione che accompagna l’annuncio ideato e realizzato da Antonio D’Amico, violinista al teatro Bellini e segretario generale della Fistel Cisl di Catania.
«Una provocazione che rende immediatamente l’idea della situazione che sta vivendo il nostro teatro – spiega D’Amico a MeridioNews – Anzi, forse più che “Vendesi”, sarebbe stato più giusto scrivere “Svendesi” in quel cartello perché l’impressione è che a livello istituzionale il teatro sia diventato qualcosa che non serve più. E, infatti, la Regione non investe più in questo ambito della cultura». Un’immagine che, adesso, sta girando sui social. «Qualcuno l’ha interpretata come una fake news, altri hanno pensato fosse stato messo davvero in vendita lo storico immobile nel cuore del centro etneo. La speranza è che serva – aggiunge D’Amico – a scuotere le coscienze dei catanesi».
Da tempo ormai l’ente operistico etneo non naviga in buone acque e, da aprile dello scorso anno – in seguito a una sforbiciata arrivata dalla Regione – si convive con il timore del rischio chiusura. Inoltre, il teatro è stato l’ente più colpito dai tagli della Finanziaria: oltre 1,8 milioni di euro. Circa il 20 per cento delle risorse già esigue stanziate per l’ente culturale, a fronte di costi fissi (per i soli stipendi) di 13 milioni di euro. I lavoratori precari storici hanno dato vita a proteste anche eclatanti: a marzo un gruppo di operai occupa il Sangiorgi. Pochi giorni dopo, in occasione della prima di Fedora, il finale dell’opera è stato adattato alla protesta: sul palco è sceso un cartello «Non facciamola morire», a cui ha fatto seguito lettura di un comunicato dei lavoratori. A maggio i lavoratori hanno occupato il tetto dello stabile di via di Sangiuliano, dove c’è la sede degli uffici amministrativi.
Circa cinque mesi fa, durante un incontro con il sindacato confederale a sigle riunite Cgil, Uil, Cisl e Snalv Confsal, il presidente della Regione Nello Musumeci aveva assicurato che non c’era nessuna volontà di affossare il teatro ma che occorreva trasformare l’ente in fondazione. «Così com’è, il teatro non risponde più alle esigenze di un mutato contesto economico, sociale e culturale», aveva detto l’inquilino di palazzo d’Orleans per cui la soluzione ideale sarebbe l’affidamento ai privati. In questo senso, il passo successivo sarebbe stato quello di modificare il consiglio di amministrazione dell’ente: togliere la presidenza al sindaco di Catania e trasferire il potere decisionale alla Regione.