«Tu dai me clienti un c’ha ghiri… a cosa se no va finisci malamenti». A Gela la carne di pollo è in mano al clan Rinzivillo. E a chi interferisce con gli interessi di Cosa nostra meglio «tagliargli la testa». Così Benedetto Rinzivillo – arrestato ieri nell’operazione Exitus e cugino dei fratelli capimafia Crocifisso, Antonio e Salvatore Rinzivillo – minacciava un commerciante di carne, colpevole di praticare prezzi troppo concorrenziali e di sottrargli clienti.
È l’ultimo tassello di un mosaico imprenditoriale variegato e di epoca antica. Sul modello della mafia catanese, i Rinzivillo hanno sviluppato da tempo un’ala imprenditoriale accanto a quella criminale. Affari nell’edilizia, nel commercio delle auto attraverso la famiglia Luca (sottoposta di recente a un mega sequestro), nel traffico di opere d’arte, nella ristorazione. Ma soprattutto nel settore alimentare. Sia del pesce che della carne, con una fitta rete di contatti con famiglie mafiose di tutta la Sicilia e attività avviate a Roma – capitale anche del loro impero economico – e nel Nord Italia.
L’ultimo arrestato della famiglia, Benedetto Rinzivillo, già quasi vent’anni fa era finito nelle indagini dell’Antimafia. Arrestato nel 2002 nell’ambito dell’operazione Cobra, perché accusato di essere la longa manus dei fratelli Crocifisso e Antonio che impartivano direttive per imporre la fornitura delle carni alle macellerie di Gela. Un regime di vero e proprio monopolio in cui il clan avrebbe reinvestito i soldi del traffico di droga. Tre anni dopo, Benedetto viene nuovamente arrestato nell’operazione Tagli pregiati. In questo caso è il pentito Salvatore Cassarà ad accusarlo di essere l’incubo dei commercianti di carni a Gela, minacciati e sottoposti a danneggiamenti se non avessero accettato di rifornirsi all’ingrosso dalla Gela Carni, riconducibile ai Rinzivillo. Ma, in entrambi i processi, Benedetto Rinzivillo viene assolto.
Sedici anni dopo, però, la storia si ripete. A Gela nell’ottobre del 2016 Benedetto apre una macelleria, la R.G., di cui è titolare il figlio Giuseppe. Quest’ultimo nel 2001, quando era dodicenne, era stato al centro di un episodio di cronaca da prima pagina: ferito incidentalmente da un colpo di pistola sparato da un poliziotto che stava inseguendo un criminale comune, rimase in coma per un periodo, per poi riprendersi e affiancare il padre nelle attività imprenditoriali.
Ma secondo gli inquirenti, dietro la nuova macelleria rimane l’ombra di Salvatore Rinzivillo. Tanto che a un rappresentante di carni concorrente lo stesso Benedetto minaccia di «tagliare la testa» se non avesse smesso di «rubargli i clienti». «Se – sottolineano gli inquirenti – era solito spendere l’appartenenza al clan mafioso che faceva capo al cugino Salvatore Rinzivillo per risolvere a suo favore questioni che riguardavano l’attività di macelleria condotta con il figlio, è perché aveva assoluta consapevolezza del fatto di non stare a millantare alcunché e, piuttosto, di affermare una circostanza corrispondente al vero che giammai l’avrebbe esposto a reprimende di sorta da parte dell’illustre congiunto».
D’altronde, di affari nel settore alimentare Salvatore Rinzivillo è un esperto. Ancora più della carne, è il pesce a rappresentare uno dei core business del clan, come emerso nell’ottobre del 2017 con l’inchiesta Extra Fines. In questo caso l’asse che avrebbe garantito affari d’oro è quello tra Rinzivillo e Francesco Guttadauro, ritenuto esponente di spicco di Cosa Nostra palermitana. E con un importante pedigree, in quanto figlio di Giuseppe Guttadauro, capo della famiglia mafiosa di Brancaccio, nonché fratello di Filippo Guttadauro, cognato di Matteo Messina Denaro.
La collaborazione tra i due avrebbe permesso di importare dal Marocco e dalla Tunisia – dove i Guttadauro hanno messo radici – migliaia di tonnellate di pesce, imposto nei mercati siciliani, romani e del Nord Italia. Secondo gli inquirenti, un accordo di tale portata sarebbe stato possibile solo grazie alla benedizione partita dal carcere. Sarebbe stato infatti Antonio Rinzivillo ad accreditare il fratello presso la famiglia Guttadauro, grazie alla mediazione di altri due uomini d’onore detenuti insieme a lui nel carcere di Sassari: Luigi Giacalone, della famiglia di Brancaccio, e Salvatore Messina Denaro, fratello del latitante Matteo.
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