Benito La Motta entra ed esce dal carcere. A prendere il suo posto di vertice nel gruppo dei Santapaola-Ercolano tra Giarre e Riposto è sua moglie Grazia Messina. Accanto a lei suo nipote Antonino Falzone per cui è stato chiesto un mandato di arresto europeo
Idda al posto di Iddu per difendere la reputazione del clan «La numero uno. Neanche un maschio te la può annacare»
«Qua manca il gatto e tutti ballano?». Benito La Motta, all’anagrafe Benedetto, nel febbraio del 2018 è detenuto in carcere. I suoi sodali sono preoccupati per la reputazione del clan e di avere fatto una cattiva figura. In una pizzeria di Corso Italia a Riposto che, pagando il pizzo, è sotto la loro protezione qualcuno è andato a fare una rapina. Uno sgarbo che non può restare impunito. A dare l’autorizzazione a procedere al pestaggio di uno dei rapinatori è Idda, la zia, la patrozza. Epiteti convertiti al femminile per calzare su Grazia Messina, la moglie di La Motta – Iddu, lo zio, il patrozzo – che ne prende il ruolo mentre lui è in cella. Entrambi sono tra i 21 arrestati nell’operazione di ieri scaturita da un’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Catania.
Catturato nel gennaio del 2014 nell’ambito dell’operazione Gotha era ritenuto il capo clan – referente per i Santapaola-Ercolano – nella zona di Giarre e di Riposto. Negli ultimi 31 anni, a partire dal 1987, Iddu è entrato e uscito otto volte dal carcere ma senza mai perdere il controllo di tutto ciò che accade oltre le sbarre. Stando a quanto raccontato da diversi collaboratori di giustizia avrebbe infatti continuato a dare indicazioni, lasciando il posto fuori a Idda o a suo nipote – il figlio della sorella – Antonino Falzone, detto Ballune, indagato per cui è stato chiesto un mandato di arresto europeo perché si trova fuori dal territorio italiano.
È il dicembre del 2017 quando zio e nipote escono dalla pizzeria dove sono andati a riscuotere i soldi (200 euro) di un’estorsioni. «Venti euro me li prendo io – dice il patrozzo dopo avere contato le banconote – che mi servono, perché soldi spiccioli non ne ho». Dal locale hanno portato via anche il volantino con il menù. «Ha un manicomio: scacciate, focacce, cosce di pollo. Ci chiami – suggerisce il nipote – te li porta e via. Che spacchio t’interessa?». La dritta è di ordinare a domicilio senza pagare alla consegna. Due mesi dopo, con Iddu che intanto è tornato in carcere, la pizzeria subisce una rapina. «Sta combinando un manicomio – commenta Giuseppe Campo, detto Fantino, anche lui arrestato ieri – è controproducente per noialtri. Non puoi andare più neanche a fare la pipì, al bar a prendere il caffè. “Qua manca il gatto e tutti ballano?“. Mi devo sentire dire tutti i giorni questa cosa». La preoccupazione è anche che se non avessero saputo della rapina, sarebbero andati a riscuotere il pizzo dal proprietario come nulla fosse. «”Ascolta – immaginano di sentirsi rispondere dal titolare – non solo mi fanno il danno e, per giunta, volete anche i soldi?“. Già che non vuole pagare più nessuno».
Qualche giorno dopo, è Idda a dare mandato per la spedizione punitiva contro i rapinatori della pizzeria sotto la protezione del clan. «Gli hai dato una chilla di fracchie? (un po’ di botte, ndr)», chiede la zia. «U strurpiai bonu (Gli ho fatto molto male, ndr). Si è pisciato tutto addosso, cornuto e sbirro che è», risponde Falzone che racconta che, oltre a picchiarlo selvaggiamente, lo ha anche minacciato: «Non ti azzardare più. Se c’era mio zio, a quest’ora era da tempo che eri morto, scemo». Stando a quanto ricostruito dall’indagine, nella patrozza i sodali riconoscono un indiscusso e costante punto di riferimento. Al posto del marito è lei a ricevere i soldi delle estorsioni e a prendere decisioni per il clan. Sembra tutta d’un pezzo, tanto che alcuni sodali le dicono che è «la numero uno, neanche un maschio te la può annacare». Eppure il giorno di Santo Stefano del 2017 si confida con Cateno Mancuso – detto Tino Ciuffo – anche lui tra gli arrestati. Qualche giorno prima, Iddu è finito di nuovo in carcere. «Mi sento sola, il vuoto. Lasciamo andare il Capodanno, ma mi dovevano fare passare quel giorno – lamenta la donna riferendosi al Natale – che io aprivo i regali per i miei nipoti con lui, poi se lo portavano l’indomani».
In Falzone, il patrozzo avrebbe avuto un altro sostituto. «Se, fra cent’anni, lo dovessero attaccare, chi c’è?», gli chiede un interlocutore qualche giorno prima della decisione della nuova carcerazione di La Motta per l’indagine Gotha. Ballune, per rispondere, fa dei gesti indicando se stesso e aggiunge: «Ce la facciamo, non ti spaventare». Passano pochi mesi e, nel periodo di Carnevale, Falzone va a ballare in una discoteca di Milazzo (in provincia di Messina). In evidente stato di ebbrezza, viene allontanato dagli addetti alla sicurezza. Decide di vendicarsi e, in macchina, impugna la pistola. A dissuaderlo è la donna che si trova con lui, la moglie di suo fratello. «Gli sparo addosso a tutti quanti. A Riposto comando io, devono calare tutti subito». Invece di agire da solo, l’idea è di convocare i suoi adepti per vendicarsi. La donna prova a convincerlo a posare l’arma: «Ascolta, o ti fermi o ti sparo in una gamba a te. Ti sparo veramente, nelle ginocchia».