I trucchi della seduzione in mostra a Milano

C’è aria di primavera. E come normalmente accade, la natura inizia ad accendere di colori anche le più grigie metropoli. Cosa c’è di meglio per accogliere la bella stagione se non rinnovare il proprio look? Devono aver pensato a questo Domenico Dolce e Stefano Gabbana che hanno avuto l’idea di lanciare la loro nuova collezione make-up con un’eccezionale mostra di fotografia al Palazzo della Ragione. Si intitola “Extreme Beauty in Vogue ” e racconta l’evoluzione del gusto e dell’idea di bellezza dagli anni Trenta ai giorni nostri.

Ma i due stilisti sono andati oltre. Con il grande architetto designer francese Jean Nouvelle, premio Pritzeker 2008 e le immagini dei fotografi/artisti che con i loro scatti hanno immortalato modelle e personalità tra le più significative del nostro tempo hanno trasformato il volto di un luogo, il Palazzo della Ragione che insieme alla Loggia dei Mercanti costituisce forse l’unico angolo medievale nella ‘moderna’ Milano. Il tutto avvolto dal glamour di ‘Vouge America’ il magazine di moda più famoso al mondo: gli scatti, infatti, sono tratti da servizi pubblicati sulla bibbia di ogni fashion-addict.

Il risultato è notevole. Entrando nell’edificio ci si lascia alle spalle la folla scomposta e distratta che si accalca nei pressi del Duomo e nelle vie limitrofe, e ci si ritrova nella penombra discreta della grande sala del Palazzo un tempo sede comunale, adibita oggi a spazio espositivo, e si recupera una dimensione di silenzio oggi così rara e un po’ dell’eleganza milanese d’antan.

L’allestimento della mostra è stato curato da Jean Nouvelle che a Parigi ha progettato l’Istitut du Monde Arabe negli anni Ottanta, la Fondation Cartier nel 1994 e il Musée du Quai Branly nel 2006, mentre la sua ultima opera ad essere stata inaugurata è la Concert House Danish Radio. Nouvelle ha ripensato lo spazio del Palazzo della Ragione con le sue pareti scarne e la sua forte tensione verticale, trasformandolo in una sorta di Tempio/Cattedrale in cui poter celebrare, con i dovuti fasti, la sensuale sacralità del corpo visto attraverso l’occhio dei grandi maestri della fotografia di moda. L’architetto agisce con pochi tratti, la luce e il tessuto, in questo caso è velluto rosso, e forme geometriche essenziali.

La sala è divisa al centro da una doppia parete con una copertura che funge da seconda elevazione. Lungo questi pannelli rigorosamente neri, sono disposte le foto; in corrispondenza di ciascuna di esse lo spazio si apre in piccole cappelle con tanto di inginocchiatoio in velluto rosso che invitano alla contemplazione delle immagini.

Lungo le pareti perimetrali di pietra, voluminosi drappeggi di velluto vengono giù a mezza altezza per adagiarsi in parte sul suolo e in parte su alcune sedute asimmetriche dalle forme sinuose poste casualmente lungo il percorso. Un sistema di scale porta al mezzanino che fa da soffitto alle cappelle; qui sono esposte su cavalletti le opere di Irving Penn e parte della sezione ‘corpi in libertà’. Contribuiscono ad accrescere la suggestione altre invenzione dell’architetto: una luce azzurra che piove dalle finestrelle ovoidali, alcune istallazioni luminose proiettate sulle pareti che recitano ‘gloria’, ‘venustate’, e dei candelieri sospesi nell’aria che rischiarano di luce fioca la sala.

La mostra è distinta in cinque diverse sezioni: ‘le icone’, ‘i volti’, ‘corpi in libertà’, ‘corpi trattenuti’ e una dedicata a Penn, fotografo di moda e pubblicità statunitense famoso per aver saputo definire meglio di chiunque altro la nozione di chic and glamour al femminile nel dopoguerra.

Attivo nel settore della moda fin dagli albori di “Vogue magazine”, Penn ha sempre preferito lavorare nella luce controllata e strutturata dello studio, ponendo i soggetti da fotografare su sfondi bianchi o grigio chiaro, e lo ha fatto anche quando si è trattato di ritrarre gli Indigeni della Nuova Guinea o i Nomadi del Nord Africa ricreando ad hoc sul posto uno studio.

Il maestro ha dato il meglio di sé nei ritratti – da Picasso a Miles Davis – riuscendo a conferire ai suoi lavori un forte sense of drama grazie alla luce netta e al forte chiaroscuro prodotti dai fondali ad angolo sovente utilizzati.

In mostra si possono ammirare le opere di Penn dell’ultimi quindici anni. Si tratta di immagini a colori, ritratti di donne con un esasperato make-up bianco (‘hat trick’) o dal volto etereo ricoperto da caramelle e spicchi di frutta ipercolorati (‘swittie’) o da una palla da football (‘football’ face). O ancora dettagli come un occhio arrossato dalle ciglia lunghissime o labbra baciate da un’ape (‘mascara wars’,’bee on lips’) in cui lo sfondo diventa una porzione della faccia sbiadita. Penn gioca con il contrasto e rende le immagini abbaglianti di luce fino a farle quasi confondere con lo sfondo anch’esso bianco, se non entrassero in gioco le linee nette e incisive dell’ombra a delineare i contorni della figura (‘Cleopatra’s eye’).

Un momento di alta espressività è raggiunto quando, per dare un’idea di sofisticata leggerezza, giocando con i mezzi toni, vela di grigio il busto della modella coprendo invece il viso con una maschera scura trasparente che più che nascondere, in questo caso esalta i tratti del volto (‘Yves Saint Laurent bluse’). In’Cult cream’, invece, la faccia della modella è ritratta nell’attimo in cui viene inondata da un liquido bianco dalla consistenza cremosa che annulla il colore reale, rende l’immagine monocromatica e tuttavia non impedisce che i lineamenti del volto della donna appaiano ben delineati.

Nelle restanti sezioni si susseguono le immagini dei fotografi di moda le cui vite si sono intrecciate con quelle di personalità che hanno segnato il nostro tempo. Eduard Steichen, ad esempio, ha fotografato Greta Garbo, Charlie Chaplin, Martha Grahm, Gershwin, mentre Erwin Blumenfeld ha condiviso una parte della propria esperienza con Tristan Zara e Man Ray, Richard Avedon con Truman Capote, ed ha inoltre ritratto Picasso e modelle ‘icona’ come Twiggy o Maruska in mostra in una posa plastica da contorsionista. Annie Leibovitz la fotografa dello star system di artisti come Christo e di modelle del calibro di Kate Moss, da parte sua ha diviso la sua vita con la scrittrice Susan Sontag. E ci sono ancora Helmut Newton le cui immagini sono connotate da una forte carica di erotismo ‘urbano’, e Steven Klein fotografo di Madonna e di tutte le campagne pubblicitarie di maggior successo delle case di moda del momento. La sua attenzione appare concentrata sui modi in cui oggi la scienza interviene per cambiare l’idea della bellezza, come risulta dai numerosi riferimenti nelle sue foto all’invasivo uso della chirurgia estetica.

Attraverso la dovizia del materiale esposto ci si rende conto di quali siano oggi i parametri fondanti della bellezza, e non solo. Così come si sono modificati il gusto e la tecnica in fotografia, passando dalle lastre in platino all’abbandono della pellicola, al digitale e all’uso strabordante di Photoshop, anche i canoni estetici hanno subito significative trasformazioni. Si è passati dalle morbide forme degli anni Quaranta e Cinquanta, alla magrezza esasperata dei Settanta, alle forme palestrate fino all’uso della chirurgia per migliorare il nostro aspetto.

Ma lo sanno bene le donne da sempre, e oggi per ‘par condicio’ anche gli uomini, che il “trucco (se ben fatto) c’è e non si vede”.

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