I Segreti del Chiostro, storie e ricette dei monasteri A Santa Caterina i dolci dimenticati della tradizione 

Profumo di luoghi nascosti, profumo di dolci. Piccole opere d’arte, testimoni di una vita vissuta esclusivamente al femminile tra le mura di un convento. Tradizioni elaborate dalle sapienti mani delle monache che oggi lasciano poche tracce, che rischiavano di perdersi, come le parole delle ricette tramandate per secoli solo in forma orale. Ora Maria Oliveri, laureata in filosofia e appassionata di storia, arte e antropologia, ha raccolto queste ricette nel libro I segreti del Chiostro, storie e ricette dei monasteri di Palermo che cerca di fare chiarezza tra i ricordi delle epoche che hanno attraversato la nostra città, per restituire un patrimonio culturale quasi dimenticato. Una ricetta per ogni convento, come fosse un segno distintivo.

Il libro nasce da «una passione legata al fatto che il convento di Santa Caterina – racconta Oliveri –  è uno dei luoghi nei quali mi sono trovata a lavorare, un po’ per volontariato, un po’ perché faccio parte della cooperativa Pulcherrima res, che si occupa di gestire beni culturali come l’oratorio di Santa Cita, l’oratorio del Rosario in San Domenico, i Tesori della Loggia, in più ora abbiamo anche una piccola casa editrice, Il Genio Editore per la quale scrivo da un po’ di tempo». 

L’autrice racconta di aver voluto raccogliere in un libro le ricette della pasticceria conventuale esclusivamente palermitana. «Mi era capitato tempo fa di scrivere un articolo sulla pasticceria conventuale siciliana e in quel frangente mi sono resa conto che non esisteva nulla che riguardasse solo la città di Palermo». Una tradizione dolciaria conventuale, quella del capoluogo regionale, che è stata dimenticata. «Mentre nella provincia e nei piccoli centri è rimasta spesso a uso quasi esclusivo delle monache, nelle grandi città invece le pasticcerie hanno preso il sopravvento e molti dolci sono stati abbandonati. Per cui oggi se entro in un negozio di dolci palermitano e chiedo un nucatolo (involtino di pasta frolla con all’interno una conserva nella quale erano inserite delle noci ndr) forse neanche sanno di cosa si tratta e probabilmente nessuno si ricorda più nemmeno del panino di santa Caterina». 

Una volta decisa la riapertura della chiesa di Santa Caterina, che era stata chiusa dal 2014 e del convento, tanta gente che si recava lì e «ci chiedeva che fine avessero fatto le monache e ricordavano come fino alla fine degli anni Ottanta andavano a comprare i dolci. Da lì la decisione di «provare a restituire ai palermitani la loro tradizione conventuale dolciaria ma anche custodire la memoria su quella che era un tempo la vita delle monache in città».

Per questo è iniziata la ricerca dell’autrice in tutti i conventi principali, una ventina, solo femminili, che esistevano nel 1700. «Ormai molti di questi non esistono più e sono diventati scuole, caserme militari, ospedali. Altri sono stati rasi al suolo come per esempio quello delle Stimmate di San Giuliano, per la realizzazione del Teatro Massimo». Il convento di Santa Caterina è uno dei pochi superstiti anche se per un periodo le suore sono dovute andare via per poi tornarvi nel 1870. «Ho realizzato anche delle interviste per alcune delle ricette, prima tramandate soltanto per via orale. Grazie a una religiosa 92enne abbiamo potuto ottenere la ricetta originale del Trionfo di gola che non è quella che circola sul web». 

Oltre al Trionfo di gola, nel libro ci sono le Minne di vergine e le Fedde del Cancelliere, dolci tipicamente palermitani. In particolare quest’ultimo dolce veniva fatto al monastero del Gran Cancelliere che oggi non esiste più. Si realizzavano questi dolci fatti di pasta martorana, quindi di marzapane, a forma di natiche, le fedde. Queste preparazioni erano anche quelle che i nobili ordinavano per le loro tavole. «La gente spesso ridacchiava perché immaginava questo dolce un po’ impudico, lavorato dalle mani delle monache. Lo stesso Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo, che parla di questi dolci, dice ironicamente che avrebbero dovuto vietarli perché a solo pronunciare i loro nomi si commetteva peccato». 

«In più Giuseppe Giuffrè ci ha sostenuto in questa ricerca e si è fatto portavoce di questo libro, realizzando anche le ricette. Quindi con l’apertura del convento abbiamo inaugurato anche la vendita dei dolci e da settembre dovrebbe ripartire proprio attraverso l’antica ruota grazie alla quale le suore di santa Caterina potevano distribuirli. E in particolare, oltre ai dolci già menzionati, ci saranno anche i sospiri di monaca e altri prodotti sempre a base di mandorle e zucchero: «Si tratta di dolci semplici ma assaggiandoli si ha un po’ la percezione di tornare indietro nel tempo – ripercorre – alle cucine della nonna, ai sapori di una volta. Abbiamo avuto anche un riscontro positivo, le persone sono tornate anche più volte, a prescindere dalla visita, per acquistare questi dolci di cui in tantissimi avevano ricordi da bambini». Nei giorni di festa, accompagnati dai genitori, vedevano apparire queste delizie dalla ruota, che «nella loro memoria assume così anche un aspetto misterioso, magico». 


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