I No Tav e la disinformazione da regime

E’ diffusissimo, in ambito accademico, il vezzo di chiamare “maestro” il professore da cui si è stati avviati alla carriera universitaria. In attesa di essere, a propria volta, appellati allo stesso modo. Vanità umana, laddove l’insegnamento evangelico è chiaro: “Ma voi non fatevi chiamare “maestro”; perché uno solo è il vostro maestro; e voi siete tutti fratelli” (Mt, 23, 8).
Il Direttore del quotidiano ‘Il Giornale’, nell’editoriale dedicato al militante della Val di Susa Luca Abbà (foto sotto, tratta da mentecritica.it), ha ritenuto di riprendere la teoria dei “cattivi maestri”. Ha scritto: “Abbà è vittima di sé stesso, ma non l’unico responsabile della sua autodistruzione. C’è il lungo elenco di cattivi maestri che soffia sul fuoco della protesta, intellettuali, ex comici, politici con e senza orecchino che giocano con e parole e, senza nulla rischiare, ora pure con la vita degli altri”.
Non ho alcun titolo accademico che consenta di definirmi un “cattivo maestro”.
Passando dalla forma alla sostanza, non ho alcunché da insegnare ad altri. Tuttavia, avendo ripetutamente scritto che il progetto di far passare in Val di Susa una nuova linea ferroviaria per treni ad alta velocità mi sembra sbagliato nel merito e nella sua logica ispiratrice, sento anch’io su di me una parte della responsabilità per il sangue di Luca Abbà, per le sue ossa fratturate. Altri giornalisti, non livorosi, hanno scritto che Abbà “rischia di morire per una causa persa” (Marco Immarisio, nel ‘Corriere della Sera’). Persa perché “la linea ad alta velocità che deve unire Torino e Lione è già stata approvata da due Parlamenti nazionali, quello italiano e quello francese, e da due trattati internazionali. E’ una struttura strategica che viene finanziata con denaro europeo” (Carlo Galli, ne “La Repubblica”).
C’è un’ineluttabilità che schiaccia i cosiddetti “No-TAV”. Le ferree logiche dell’economia, del progresso, della politica governante e finalmente decisionista. Ci sono addirittura due trattati, anzi “Trattati”, con l’iniziale maiuscola. I trattati internazionali, com’è noto, sono sottoscritti dai Governi, ma devono essere autorizzati con legge dal Parlamento. Poiché mi piace verificare quanto leggo, ho preso atto che c’è la legge 27 settembre 2002, n. 228, titolata “Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica francese per la realizzazione di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, fatto a a Torino il 29 gennaio 2001”. Evidentemente, quel trattato da solo non bastava; qualcosa si era inceppato. E si viene a tempi recentissimi. Il Ministro delle Infrastrutture, Passera, nel mese di dicembre del 2011 partecipa a Bruxelles ad un Consiglio Europeo dei Ministri dei trasporti dell’Unione ed assicura che la connessione ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione rientra tra le priorità per l’Italia e quindi si realizzerà certamente. Nello stesso mese di dicembre 2011 il Vice-ministro alle Infrastrutture, Mario Caccia, a nome del Governo italiano, firma a Roma un accordo con il Ministro dei Trasporti francese, Thierry Mariani, che rappresenta il Governo della Francia.
Anche se molti organi d’informazione, nell’entusiasmo, qualificano quell’accordo come “definitivo”, ed alcuni arrivano a scrivere che Caccia e Mariani avrebbero loro stessi “ratificato” un nuovo trattato, è evidente che la ratifica parlamentare debba ancora intervenire. Quale occasione migliore, penso io, perché, invece di considerare la legge di ratifica un mero adempimento burocratico, i Gruppi parlamentari esprimano il proprio punto di vista in un dibattito parlamentare, assumendo fino in fondo la responsabilità delle proprie scelte al cospetto del Paese?
E’ un fatto che il Governo dei tecnici abbia voluto essere protagonista di questa vicenda. Nel bene e nel male, secondo i punti di vista, bisognerà tenerne conto. Nel merito di quanto deciso da Caccia e Mariani, si possono leggere articoli molto informati. Maurizio Tropeano, il 20 dicembre 2011 nel quotidiano “La Stampa”, scriveva che il costo complessivo dell’opera a carico dell’Italia nell’arco di dieci anni, dal 2013 al 2023, sarà di “2,7 miliardi di euro, al netto del cofinanziamento europeo e della quota francese” (si veda l’articolo titolato “Torino-Lione. Firmato il nuovo Trattato”). Sempre Tropeano scriveva che era stata istituita una “nuova Società con sede operativa a Torino e sede legale a Chambery” e che “intanto a gestire il cantiere di Chiomonte arriva una Cooperativa rossa. La CMC di Ravenna (contratto firmato in mattinata) realizzerà il cunicolo esplorativo della Maddalena”. Al di là delle ineluttabili leggi del progresso, sembra di capire che qualcuno abbia interesse a che l’opera si realizzi. Ma va?
L’articolo titolato “TAV, un progetto da 8,2 miliardi”, a firma di Maria Chiara Voci e Filomena Greco (nel quotidiano “Il Sole-24 Ore”, del 27 febbraio 2012), rende conto di tutti i dettagli dell’opera. L’impatto ambientale non può essere contestato: “tunnel di base di 57 chilometri da Saint Jean de Maurienne a Susa, più 1,5 chilometri di connessione con la linea esistente, da Susa a Bussoleno”.
Sorprendente che ancora non si disponga di un progetto esecutivo: “la progettazione definitiva è stata avviata il 9 gennaio 2012, per un tempo contrattuale previsto in 12 mesi”. Per il collegamento con la linea esistente bisognerà costruire un ponte sul fiume Dora. Viene al momento rinviato il progetto di costruire, nella parte italiana, un secondo tunnel di 19 chilometri sotto il monte Orsiera. Tra parentesi, si trova proprio qui il Parco naturale Orsiera-Rocciavré, qualificato di interesse comunitario.
Quanto riportato tende a dimostrare l’infondatezza della tesi secondo cui “da tempo” tutto sarebbe stato deciso. Si sta decidendo ora: dicembre 2011, gennaio/febbraio 2012. L’attuale Governo ha voluto essere della partita, nonostante fosse contemporaneamente impegnato su tanti altri fronti. In questi giorni si stanno completando le procedure di esproprio dei terreni. Luca Abbà era appunto uno dei legittimi proprietari, ora espropriato. Non gli è stato consentito di essere un pacifico contadino, tra le sue montagne.
Humani nihil a me alienum puto: niente di tutto ciò che riguarda gli esseri umani mi è estraneo, scriveva Terenzio Afro nel 163 a. C.. Portare solidarietà a chi subisce un sopruso, combattere una “causa persa” per senso di giustizia: sono tutti modi di vivere la condizione umana. Penso, non fra i modi peggiori. In questo caso, l’insegnamento cristiano coincide con la saggezza politica. Non bisogna opporre violenza a violenza. Chi ha ragione ed è debole, ha tutto l’interesse ad opporsi in modo creativo, ma sempre pacifico. Se si arriva al dunque, meglio essere vittime, affinché sia evidente chi è dalla parte del torto ed i carnefici siano messi nelle condizioni di doversi vergognare.

 


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