I 22mila precari che Renzi vuole stabilizzare Dai Comuni alla Sanità, una mappa da ridefinire

Davide Faraone prova ad assumere ruolo e funzione, nonché relativo e connesso livello di assunzione di responsabilità, nella vicenda che riguarda la stabilizzazione e l’utilizzo dei lavoratori a tempo determinato della Regione siciliana, proprio mentre i sindacati della funzione pubblica gli ricordano che  «l’elenco delle vertenze aperte è lungo». La nascita di un’Agenzia regionale dei precari, fortemente sponsorizzata dal mondo renziano, dovrebbe avere come soci, oltre alla Regione, enti strumentali, i Comuni che hanno un preciso carico di figure da stabilizzare. 

Un po’ come nel caso della protesta smodata e fuori misura dei lavoratori forestali, la vicenda si sta articolando nei giorni di mobilitazione generale annunciati dai sindacati in vista dello sciopero regionale dell’undici dicembre prossimo. Ecco perché un significato di impulso molto preciso da parte del mittente (il governo Renzi) è arrivato con l’emendamento alla legge di stabilità nazionale che prevede la stabilizzazione per tutti i 22mila dipendenti di Comuni e Regione. Quella dei precari siciliani è una storia senza fine. Non solo in termini di durata, ma proprio come meccanismo che si auto genera senza finire mai. Nel 2004, la commissione regionale dell’impiego, una provincia persino minore dell’impero cuffariano, aveva completato il piano di fuoriuscita di 5.698 lavoratori socialmente utili presso 87 enti pubblici siciliani. Al momento dell’insediamento di Cuffaro i lavoratori precari erano 48.248, scesi poi nel tempo a 18 mila. 

Dopo undici anni la modalità per mantenere in vita rapporti che non sono più su larga scala solo clientelari, ma mantengono la loro natura contingente e precaria è ancora in vita. La possibilità di promuovere progetti di pubblica utilità al cui interno inserire forze nuove ed elementi in più, è ancora prevista dalla legge. In più passaggi e attraverso step diversi, la normativa ha previsto fino al 2010 l’inserimento a lavoratori in cerca di prima occupazione, disoccupati iscritti da più di due anni nelle liste di collocamento, lavoratori individuati dalle Commissioni Regionali per l’impiego, gruppi di lavoratori in esubero individuati da specifici accordi. 

Oggi i precari siciliani sono così suddivisi: nei Comuni gli Lsu sono 18mila in servizio da venti anni, costano circa 300 milioni l’anno, con il contratto in scadenza tra quest’anno e il prossimo. Chiedono vengano autorizzate le stabilizzazioni. Nella Sanità sono circa duemila e lavorano grazie a contratti che vengono rinnovati ogni sei mesi. La Regione ha previsto la stabilizzazione attraverso concorsi che però ancora non sono stati banditi. E ancora per quanto riguarda i precari della Regione, la maggiore parte è stata stabilizzata nel 2011. Rimangono poco più di 500 lavoratori a tempo determinato. Per quanto attiene ai Consorzi di Bonifica i precari sono circa un migliaio con un costo annuo pari a 10 milioni. All’Esa trovano posto 520 trattoristi da 178 giornate. I forestali costano 300 milioni. 

Una cosa che non emerge con la chiarezza dovuta riguarda il fatto che a comandare deve essere il criterio e non il referente di turno. Ieri D’Alia ad esempio, oggi Faraone. Il sottosegretario renziano punta a ridislocare e ridefinire la mappa negli enti locali dei lavoratori. Un’utopia virtuosa fino a questo momento. Ai siciliani basterebbe l’ordine e la regola. Il criterio verrebbe quasi automatico. La sovrapposizione di numeri, condizioni e status ha finora privato di ogni agibilità il meccanismo di razionalizzazione. La fuoriuscita dal bacino non attira chi svolge già ad esempio un secondo lavoro, mentre con l’esodo di cinquemila regionali in quattro anni, entro il 2020 sarebbe il caso di capire in che modo professionalità e funzioni si possano incrociare e in tutti gli altri casi aprire con decisione e fermezza la stagione dei concorsi.


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