Risiko di volti, nomi, profili e strategie. Tutte le grane del governo Conte bis, che torna a fare i conti con l'Isola sulla partita delle seconde file nei ministeri romani. Ma ogni forza politica sembra avere chiaro su quali opzioni puntare
Governo, dopo la fiducia è corsa per i sottosegretari Dubbi su chi è davvero disponibile a metterci la faccia
Più che un amore, sembra una camera a gas, per dirla con le parole di Gianna Nannini. Incassata la fiducia alla Camera e al Senato, da questa mattina il governo giallorosso apre ufficialmente la partita sui sottosegretari. Una partita a risiko che inevitabilmente dovrà passare dalla resa dei conti siciliana. I nomi che circolano sono noti alle stanze dei bottoni già da giorni. In quota Pd, a contendere una poltrona ai vertici di un ministero romano sarebbero Teresa Piccione, protagonista della polemica che ha preceduto l’ultimo congresso regionale dem, l’ex segretario regionale Fausto Raciti e la senatrice Valeria Sudano. Ai quali si sarebbe aggiunto nelle ultime ore anche Lillo Speziale, padre politico della «corrente anti-correnti» presentata all’Ars prima della pausa estiva.
Sul fronte Leu-Sinistra Italiana, dalla Sicilia si è più volte fatto il nome di Erasmo Palazzotto, deputato tra i fondatori dell’ong Mediterranea Saving Humans. E poi c’è il Movimento 5 stelle, i cui portavoce in Sicilia sono furibondi col capo politico Luigi Di Maio per la gestione della trattativa col Pd. Una posizione espressa per primo da Ignazio Corrao, al quale hanno fatto seguito le parole di Mario Giarrusso e che ha portato ieri ai tavoli romani il nome di Giancarlo Cancelleri per il ruolo di sottosegretario ai Trasporti. Oltre al profilo del leader siciliano, la rosa di nomi dei pentastellati porta anche all’ex ministra Giulia Grillo e al «professore» Francesco D’uva, ribattezzato così dalla rete per la somiglianza col protagonista della fortunata serie tv La casa di carta. C’è un outsider anche in casa cinquestelle: si tratta della senatrice catanese Tiziana Drago, sostenuta da alcuni gruppi facebook sorti negli scorsi giorni per chiedere un ruolo attivo nel ministero alla Famiglia. Proprio Drago, che nei giorni del Family Day si era espressa con posizioni in antitesi rispetto alla linea pentastellata.
Ma oltre i nomi, restano i dubbi. E questo amore da Fotoromanza, in cui nessuna delle forze politiche alleate si fida fino in fondo dell’altro. A partire dai cinquestelle, delusi, furibondi e che «in caso di offerte per posizioni non chiave – sussurrano – faticheremmo a spiegare alla base in che modo si possa continuare ad essere incisivi nei territori». E questa è la prima rogna, per Di Maio. Niente terze file, dato che i pentastellati in salsa sicula hanno già dovuto ingoiare il rospo di doversi accontentare delle seconde. Anche perché, a quanto filtra, se le offerte da Roma non fossero gratificati, difficilmente i pentastellati siciliani saranno disponibili a metterci la faccia.
E poi c’è la sinistra. Da quelle parti in molti hanno chiaro che stare al governo significa mediare. E, soprattutto in materia di migranti, il lavoro del nuovo esecutivo sarà tutto in salita. Intanto nella revisione dei decreti Sicurezza, che seguirà le indicazioni del capo dello Stato, ma che verosimilmente lascerà più di uno scontento. E poi la lunga e difficile partita con l’Europa per stabilire una nuova redistribuzione dei migranti e dei richiedenti asilo tra gli Stati membri. Mentre intanto, almeno sui primi passi del nuovo esecutivo, è rimasta in bilico la politica dei porti chiusi. Non proprio una partita su cui è scontato volerci mettere la faccia.
Infine c’è il Pd. Anche in questo caso, il partito al governo oggi non è di certo lo stesso di fine luglio, quando l’ex segretario Davide Faraone è stato defenestrato dalla commissione nazionale di garanzia e la fuoriuscita dei renziani sembrava ormai cosa fatta. Oggi al segretario Nicola Zingaretti resta il difficile compito di ricompattare le fila e fare in modo che le diverse correnti tornino a sentirsi parte di un’unica organizzazione politica. Chi valorizzare in quest’ottica, dunque? Gli zingarettiani, che hanno già ottenuto l’annullamento del congresso? I renziani, per cercare la via della conciliazione? L’area Orfini? Oppure la exit strategy che potrebbe essere proprio Speziale? Proprio lui nei giorni successivi al commissariamento del partito ha imboccato la via della conciliazione.