Emergono alla spicciolata i dialoghi tra Matteo Messina Denaro e i pubblici ministeri che hanno provato a farlo parlare il 7 luglio, nel carcere de l’Aquila, un paio di mesi prima della sua morte. Il boss di cosa nostra parla di tutto, sembra avere raggiunto anche un buon livello di confidenza con i magistrati, ma […]
Gli ultimi pensieri di Messina Denaro: la deriva della mafia e il rapporto con la figlia Lorenza
Emergono alla spicciolata i dialoghi tra Matteo Messina Denaro e i pubblici ministeri che hanno provato a farlo parlare il 7 luglio, nel carcere de l’Aquila, un paio di mesi prima della sua morte. Il boss di cosa nostra parla di tutto, sembra avere raggiunto anche un buon livello di confidenza con i magistrati, ma non entra mai nello specifico, non concede niente se non opinioni personali, racconti, persino giudizi e una grande preoccupazione: quella relativa al destino e al suo rapporto con la figlia Lorenza, riconosciuta solo poco tempo prima di morire.
«Credo che di carte di identità false ce ne fossero 20 o 15. Io ne ho sempre avute a quantità» dice parlando dei documenti ritrovati nel covo di Campobello di Mazara, sembra voler dire qualcosa in più, ma quando i pm chiedono informazioni a riguardo svicola: «Li avete trovati? Ce ne erano tanti, pure bianchi». E ancora: «Tutti i miei documenti vengono da Roma perché a Roma ci sono documenti per chiunque, documenti seri, ovviamente pagando. C’è una strada in cui vanno tutti in Italia perchè sono gli stessi che li forniscono a tutti».
«Io non ho mai fatto problema di soldi e cose… – dice – se lei fa un certo tipo di mestiere e rischia la galera, è normale che se mi presento io, me li dà senza soldi, ma non è giusto da parte mia; allora io faccio presentare un’altra persona e glieli ho sempre pagati e strapagati». Una vita difficile quella del boss, che appare infastidito dai paragoni con i “colleghi” di una cosa nostra che pare proprio non essere quella di un tempo.
«Il mio mondo viene trasfigurato, non una metamorfosi normale, proprio una cosa indecente – Non potete mettere menomati mafiosi, senza voler offendere i menomati – spiega – quando cominciate a prendere basse canaglie, gente a cui non rivolgevo nemmeno il saluto e li arrestate per mafiosità, allora in quel momento il mio mondo è finito, raso al suolo». Tra i più detestati da Messina Denaro, Gino Abbate detto ‘u Mitra, capomafia del quartiere Kalsa di Palermo. «Fa più schifo di qualcuno che lo ha generato e lo fate passare per mafioso?. I veri mafiosi sono altri, sono in giro».
Il pensiero più insistente di Messina Denaro però è per la figlia Lorenza e per i diari che il boss ha scritto per lei, che ora sono in mano alla magistratura. «Erano per mia figlia – spiega – per cercare di farle capire chi ero io, quello che ho vissuto. Cosa si è concluso nel dare in pasto alla stampa discorsi privati?» chiede ai magistrati, che rispondono tuttavia che ne è stato fatto solo un uso processuale. «Stiamo cercando di chiarirlo (il rapporto ndr). Ora si metterà il mio nome. Un giorno le spetterà avere questi diari?». «Nella misura in cui non serviranno più per i processi, certo» la risposta.