In otto anni ben quattro siti sono stati trasformati in fazzoletti di terra da poter coltivare: fiori, frutta, ortaggi, piante per sé e per gli amanti del cibo sano. Una pratica che «fa bene a se stessi - rivela l’ideatore - riscoprendo qualcosa che è insita nell’animo»
Gli orti condivisi che tornano a far respirare la città «Riportiamo in vita luoghi destinati all’immondizia»
Un toccasana, una valvola di sfogo, una cura per riprendersi se stessi e anche la città. Chi lo avrebbe mai detto che prendersi cura di un orto potesse significare tutto questo? Eppure è pronto a dare la sua parola Fausto Terranova, ex imprenditore edile che ha deciso di cambiare radicalmente vita. «Ho fatto una scommessa e ho vinto, sono rinato», racconta oggi. Originario di Bivona, ha vissuto l’infanzia a contatto con la campagna. Un contatto perso dopo il trasferimento a Palermo insieme alla famiglia. Ma che sembra essere rimasto latente dentro di lui, fino a riemergere con forza a dispetto della direzione che aveva preso la sua vita. C’è tutto questo dietro quell’idea nata nella sua testa ormai otto anni fa «da un bisogno che avevo io di lasciare fuori dal cancello i problemi», come ripete spesso. Un cancello metaforicamente varcato prima da lui e poi a ruota dai tanti che si sono lasciati coinvolgere dal suo progetto, quello degli orti urbani. Oggi, in tutto, ne esistono quattro.
Per realizzare il primo ha coinvolto un amico, proprietario del fazzoletto di terra poi diventato a tutti gli effetti un orto cittadino condiviso, quello di via Portello, all’antico borgo agricolo Margifaraci, poco distante dall’aeroporto militare di Boccadifalco. Seimila metri quadri dotato di club house con una libreria specializzata, uno spogliatoio, un’ampia zona picnic al coperto con due grandi barbecue e diversi pollai. È il 2011 quando il progetto vede finalmente la luce. Di lì a poco, nel 2014, nascerà a tutti gli effetti l’associazione denominata Gli orti delle fate, che tiene insieme tanti privati cittadini che condividono la passione per l’agricoltura biologica e il cibo sano. «Ho visto che non era solo un sogno, un’idea, a che poteva darmi di che lavorare, a me e anche ad altri». Così, a poco a poco, sono arrivati anche il secondo e il terzo orto, nati dentro il comprensorio di Villa Spina, di fronte alla palazzina Cinese: uno con ingresso da via dei Quartieri, nella piana dei Colli, esteso per 3.500 metri quadri, dotato di armadietti e un’ampia zona relax alberata. L’altro, invece, con accesso anche da via Duca degli Abruzzi, seimila metri quadri con altrettante zone verdi che si allargano a dismisura, zone relax o per arrostire.
Infine, il quarto orto, l’ultimo arrivato: un pugno di verde di 23mila metri quadri, che in più ha anche una pista da running e da mountain bike dentro Villa Bordonaro, dove «erano almeno 20 anni che non si faceva nulla, in pratica era ormai una foresta impenetrabile». Un bilancio che restituisce il successo dell’idea di Fausto Terranova. L’associazione, infatti, consta oggi di 300 associati, e lui ne è il primo dipendente. «Ci vuole indubbiamente un certo spirito imprenditoriale, che mi portavo dietro dalle mie esperienze pregresse, ma anche soldi. Noi ci autofinanziamo – spiega -. Ognuno coltiva la sua parcella di terreno seguendo un regolamento, noi diamo una consulenza agronoma, acqua e attrezzi. Ci vuole energia, dedizione, fatica, ma nulla ti ripaga di più». Fiori, piante, ortaggi, frutta: una parentesi dove tornare a respirare il verde a due passi dalla città. I prodotti sono ad autoconsumo, ma non mancano le persone che, tra un passaparola e l’altro, si recano nei quattro orti per acquistare prodotti sani. E da un po’ il business si è allargato anche alla vendita online, con la piattaforma Cosa ti porto bio, dove la gente acquista virtualmente cestini pieni di prodotti nati proprio da quegli orti delle fate.
«È una bella sfida fare questo in una città come Palermo – ammette Fausto Terranova -. Bisogna trovare posti dentro la città non utilizzati, magari in passato usati come discarica, e con l’acqua. Avevo trovato dei torrenti vicino l’Oreto, ma erano contaminati da eternit e quindi non se n’è potuto fare niente. È fondamentale fare un’analisi del terreno». Una volta scelto il luogo, ci si rivolge ai proprietari e si stabilisce un canone d’affitto. «L’iniziativa ha subito attirato numerose adesione, in molti hanno scoperto di avere l’orto e la coltivazione nel sangue. E non ci sono solo anziani in pensione – rivela -, con molta sorpresa tra gli associati ci sono tantissimi giovani, e anche molte donne, tutti di estrazione sociale diversa. Il 90 per cento di loro non aveva mai avuto alcun contatto con la terra». Mentre ora sembra non ne possano fare a meno. Come se gli orti urbani permettessero di riscoprire un bisogno ancestrale fino al giorno prima rimasto inascoltato.
«Prima del nostro intervento, quasi tutti i terreni erano in stato di totale abbandono, destinati a diventare immondizzai, come quello di Villa Bordonaro, trasformato in un’oasi in due mesi di lavoro. Noi li abbiamo riportati in vita e quello che ci torna indietro, a livello di soddisfazione, è impagabile». E gli associati si danno un gran da fare, e tutto da soli. Non c’è dietro lo zampino dell’amministrazione cittadina, infatti, «la cosa positiva è che non siamo costretti a sottostare alle tempistiche della burocrazia e delle partecipate». Altrimenti, forse, queste bellissime parentesi di verde in mezzo al caos della città non riuscirebbero a nascere in così poco tempo. «Fa bene a se stessi, se guardi i volti delle persone che vengono qui sono tutti sorridenti – racconta Fausto Terranova -, riscoprono una cosa che avevano insita nell’animo e che ora hanno la possibilità di fare. Una cura per se stessi, vedere crescere le piantine e mangiare quello che si è piantato è davvero impagabile».