Incroci tra frutti diversi stanno pian piano invadendo anche il mercato italiano: mandarino e pompelmo, patata e pomodoro, limone e pomodoro sono solo alcuni esempi. C'è chi è curioso e chi invece diffida, ma pochi sanno che gli ibridi in natura sono spesso spontanei e non hanno necessario bisogno della mano dell'uomo per creare superpiante. Alcune insospettabili, come la banana o il grano
Gli ibridi della frutta, dal mapo alla fragola La naturale promiscuità del mondo vegetale
In biologia, un ibrido è un incrocio tra due specie (o sottospecie) diverse. Nel mondo animale gli ibridi non sono molto comuni, ma sempre interessanti: c’è la ligre (leone più tigre, il più grande felino esistente), il wolphin (delfino più orca) o l’incrocio senza nome tra pecora e capra, soprannominato lo stupratore perché caratterizzato da voglie sessuali irrefrenabili. Meno esotico ma non meno straordinario è il mulo (frutto della passione tra asino e cavalla), che ha accompagnato la storia dell’uomo per millenni. Il mulo, come quasi tutti gli animali ibridi, è sterile. Nelle piante invece è tutta un’altra storia.
Gli ibridi sono molti e spesso insospettabili. Mentre quasi tutti sanno che il mapo è un incrocio tra mandarino e pompelmo (e per questo ne diffidano), molti sarebbero sorpresi di sapere che anche la fragola è un ibrido, nato per caso due secoli e mezzo fa e divenuto poi un best seller a livello mondiale grazie ai suoi grandi frutti e alla sua resistenza alle basse temperature. E che dire del pompelmo? Anche lui un ibrido. Così come (che ci crediate o meno) il limone e l’arancio. Secondo studi genetici (e non), le tantissime varietà di agrumi che conosciamo oggi si sarebbero evolute tutte da tre sole specie originarie: il mandarino, il cedro e il pomelo (una sorta di pompelmo con frutti grandi come cocomeri).
Tutta questa mescolanza è dovuta al concetto piuttosto flessibile che i vegetali hanno del loro materiale genetico: in effetti il bello delle piante è che ci puoi fare un po’ quello che vuoi. Gregor Mendel, che scoprì per primo le leggi base della genetica, si trastullò per anni incrociando piselli (gialli o verdi, lisci o rugosi) negli orticelli di monasteri e abbazie varie (era un frate) sparsi per l’impero austro-ungarico. E ancora oggi la genetica vegetale è decisamente innovativa: basti pensare agli Ogm.
Come tutti gli esseri viventi, anche le piante hanno il loro bel Dna, suddiviso in rotoloni più o meno grossi chiamati cromosomi. Nell’uomo il numero di cromosomi è 23 (n=23), ognuno dei quali è presente in due copie, per un totale di 46 cromosomi (quindi 2n=46; il numero di cromosomi si indica con n, il numero di copie con il numero accanto). Le piante di solito hanno qualche cromosoma in meno, ma comunque (quasi sempre) in doppia copia (sono quindi anche loro 2n). Per le piante, però, questa storia del numero di copie ha un’importanza relativa, tanto che in alcune circostanze può tranquillamente accadere che i cromosomi si moltiplichino come per magia.
La cosa funziona più o meno così. Una cellula che si vuole riprodurre deve duplicare tutti i suoi cromosomi per poterli dare alla cellula figlia che sta per partorire. Quando la cellula figlia si separa dalla mamma, si porta via la sua metà dei cromosomi (2n) e scompare per sempre, con tipica ingratitudine filiale. In alcuni casi però questa ingratitudine diventa criminale: la cellula figlia ruba, al momento di andarsene, tutti i cromosomi, lasciando la cellula mamma senza uno straccio di Dna e destinata ad una misera fine. Lei invece, la figlia degenere, si ritrova con un corredo di cromosomi che comprende la sua parte e quella della mamma, quindi esattamente raddoppiato (4n). Questo, che sarebbe fatale per una cellula animale, non molesta più di tanto una cellula vegetale, tanto che una pianta 4n (sviluppatasi a partire dalla cellula figlia) non solo campa benissimo ma addirittura sviluppa spesso dei superpoteri: cresce meglio, è più resistente, fa più frutti e anche più grandi.
E’ l’origine di una superpianta, notevolmente più potente delle sue cugine 2n e che ha perciò buone prospettive di diffondersi rapidamente. Le prospettive diventano ancora migliori quando entra in gioco l’uomo, che influenza il naturale svolgimento delle cose selezionando le varietà 4n più produttive. Qualcosa del genere deve essere accaduto nella notte dei tempi in Mesopotamia, dove i primi agricoltori selezionarono le migliori varietà di grano. Il risultato è che ancora oggi il grano duro (che si usa per fare la pasta) è 4n, mentre il grano tenero è addirittura 6n.
Questa bizzarra versione genetica di Lascia o raddoppia porta a volte a delle conseguenze spiacevoli. Se una pianta di grano 4n si innamora di un grano 2n e decide di unirsi a lui (nonostante la prevedibile disapprovazione della famiglia) e di dargli tante tenere piantine da crescere insieme, potrà certo soddisfare il suo desiderio. Ma i frutti di questa unione saranno marchiati da un terribile destino: quello di essere sterili, dunque privi di semi (il che per un grano è un bel problema). La sterilità è dovuta al fatto che i poveri pargoli ereditano due copie dei cromosomi dalla mamma e una copia dal papà, per un totale di tre copie (saranno cioè 3n). Per ragioni che non sto qui a spiegare, un numero dispari di copie è in fatale contraddizione con la meccanica di base della riproduzione sessuata: una pianta 3n (o 5n, 7n, etc.) può magari crescere benissimo e avere tutti i superpoteri del mondo (o dell’universo), ma non produrrà semi. Le eccezioni sono rarissime.
L’uomo ha saputo sfruttare per i suoi scopi anche questi drammi familiari vegetali. La banana ad esempio, uno tra i frutti più diffusi e abusati nel mondo intero, è un frutto 3n, sterile e quindi privo dei semi grossi e duri che avevano le banane ancestrali (2n). Lo svantaggio è che non si può più far nascere un banano da una banana. Uno svantaggio trascurabile, però, visto che un banano si può comunque propagare tagliandone un pezzo e trapiantandolo.
Qualcosa di simile accade per le angurie senza semi che dominano molti mercati (ma non ancora quello italiano): sono ibridi 3n, come la banana. Però, mentre le banane sono diventate 3n con le loro forze (l’uomo le ha solo selezionate), le angurie 3n sono frutto del genio ingegneristico dei genetisti. Questi producono prima di tutto angurie 4n (che in natura non esistono) usando la colchicina. Questo farmaco disorienta i cromosomi al momento cruciale della separazione tra cellula mamma e cellula figlia, spingendoli ad andare tutti da una sola parte. Ottenute così le angurie 4n, basta farle accoppiare con quelle normali (2n) per produrre angurie 3n, sterili e senza semi.
“Dannazione! Anche questo sacco è vuoto!” – Semi di angurie senza semi
Quella degli ibridi è una scienza vecchia quanto l’uomo che ha ripreso slancio in questi anni di boom della genetica. I nuovi stravaganti arrivi hanno nomi come pomato (patata+pomodoro) e lemato (limone+pomodoro) e un gusto tutto da scoprire. Chissà, magari saranno un successo e tra qualche secolo di pomodori veri non ne vedremo più. Resta qualche area ancora inesplorata: perché non creare per esempio un frutto Ace, che faciliterebbe la preparazione delle amatissime spremute?
[Foto di san paco martire ]