Gli anarchici siciliani si riuniscono a Catania Donne e arte nel sistema curdo di autogoverno

La lotta di liberazione del popolo curdo e il processo di autodeterminazione democratica in corso nella regione del Rojava, nel Kurdistan siriano. E, ancora, un focus sull’impegno delle donne curde e sul ruolo dell’arte per costruire un nuovo immaginario sociale. Sono stati questi i temi al centro del Convegno Democrazia senza Stato, organizzato dalla Federazione Anarchica Siciliana (Fas) e ospitato giovedì dagli attivisti del Teatro Coppola di Catania. Tra i relatori, al fianco degli anarchici siciliani e degli altri militanti accorsi dalla Penisola, anche Jonas Staal, artista olandese e fondatore del New World Summit. Un’iniziativa a sostegno della battaglia del Kurdistan, con lo scopo di «contribuire a rafforzarla sul piano politico e materiale, ma anche contribuire criticamente al suo sviluppo». 

«La nostra sensibilità per la causa curda ha origini lontane – ha dichiarato in apertura dell’incontro Pippo Guerrieri, portavoce della Fas – essa fa parte dell’attenzione che abbiamo sempre mostrato per tutte le resistenze, e per le lotte dei popoli oppressi». Ad aver accresciuto negli ultimi anni l’interesse degli attivisti libertari per la causa è il sistema di autogoverno messo in atto dalla popolazione curda nel nord della Siria, a partire dal 2011 nel contesto della rivolta scoppiata contro il regime di Bashar al-Assad. Si tratta del Confederalismo democratico, un progetto di organizzazione sociale democratica – che s’ispira alla teoria dell’Ecologia sociale del filosofo statunitense Murray Bookchin – messo a punto da Aldullah Ocalan, lo storico leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), dal 1999 detenuto in regime di isolamento nella prigione turca di Imrali, dopo la condanna a morte, poi convertita in ergastolo, per tradimento e separatismo.

Il Pkk di Ocalan rappresenta la principale forza politica in lotta dagli anni ’70 per la causa curda, ma da Stati Uniti e Unione Europea è riconosciuta come una delle più pericolose organizzazioni terroristiche del globo. «Dal 2000 il Pkk ha iniziato a costruire sui territori un percorso di alternativa agli Stati», ha spiegato Daniele Pepino, autore del libro Nell’occhio del Ciclone. La Resistenza curda tra guerra e rivoluzione, un’inchiesta condotta sul campo che racconta delle forme di organizzazione sperimentate dagli abitanti del Rojava. Un percorso politico, quello del Kurdistan, che alla strategia di attacco frontale degli Stati ha sostituito «la realizzazione di strutture dal basso che svuotino di significato le strutture centrali dello Stato», ha concluso Pepino, a detta del quale ciò testimonierebbe che «la rivoluzione ha assunto nuove forme e l’assalto al potere non è più l’obbiettivo».

A fondare la teoria e la pratica del Confederalismo democratico «c’è la critica del pensiero positivista ottocentesco, alla tecnologia e all’uso del potere come pensiero dominante», ha precisato Norma Santi, del Gruppo Cafiero di Roma. Del processo rivoluzionario curdo, Santi ha messo in luce la centralità del ruolo delle donne, artefici di un progetto culturale di rinnovamento «profondo» – la Jinealogia – che muove da un «capovolgimento dell’attuale paradigma patriarcale». Per Santi «un esempio per le donne di tutto mondo».

Ad accompagnare la riflessione sulla cultura femminile, quella più generale sul compito dell’arte nella rivoluzione. «L’arte si nutre dei nuovi ideali, e li nutre al tempo stesso». A dirlo dal palco del Teatro Coppola è stato l’ospite Jonas Staal, artista olandese che ha illustrato alla platea la missione della New World Summit. Un’organizzazione culturale da lui fondata che si dedica a dar voce ai quei movimenti politici radicali, «dal Kurdistan al Papua Occidentale», iscritti nelle black list degli Stati e delle istituzioni internazionali «per aver affermato un’idea di democrazia troppo radicale», ha sottolineato Staal. L’impegno del New World Summit si traduce nella creazione di parlamenti temporanei che riuniscono i rappresentanti di organizzazioni bandite. Dopo Berlino, Bruxelles e Kochi (in India), uno di questi è adesso in costruzione proprio nel Rojava. Un modo innovativo d’interpretare l’arte in chiave emancipativa. E rappresentare un nuovo mondo «dalla prospettiva dei senza Stato».


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