Il deputato palermitano è stato nominato alla guida dell'organo parlamentare che intende far luce sulla morte del ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto nel 2016. «Per restituire forza ai princìpi di libertà e di giustizia su cui si fonda la nostra democrazia»
Giulio Regeni, si insedia la commissione d’inchiesta Palazzotto presidente: «Governo egiziano omertoso»
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La morte di Giulio Regeni ha aperto uno squarcio su una realtà che per troppo tempo abbiamo voluto ignorare». È il 28 maggio 2018 quando Erasmo Palazzotto propone l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta che indaghi sulla morte del giovane ricercatore italiano, ucciso in Egitto agli inizi del 2016. Una morte violenta – il corpo venne ritrovato a distanza di dieci giorni dalla scomparsa e con numerosi segni di tortura – che, a distanza di quasi quattro anni, resta misteriosa: non si sa chi l’abbia ucciso e anche sui motivi è ancora nebbia fitta. Ora sulla vicenda si apre un nuovo capitolo: a un anno e mezzo dalla proposta del deputato palermitano di Liberi e Uguali la commissione parlamentare si è insediata poco fa a Palazzo San Macuto. Palazzotto è stato eletto presidente con undici voti favorevoli e otto astensioni. Vicepresidenti sono stati eletti Debora Serracchiani (Pd) e Paolo Trancassini (Fratelli d’Italia), i segretari sono Massimo Ungaro (Italia Viva) e Roberto Turri (Lega). La commissione, che avrà gli stessi poteri della magistratura, dovrà concludere entro 12 mesi la propria inchiesta con una relazione finale, ma potrà riferire alla Camera «anche nel corso dei propri lavori, ove ne ravvisi la necessità o l’opportunità», come stabilito il 30 aprile 2019.
Palazzotto è tra colui che più di tutti ha seguito la
tortuosa ricerca di verità e giustizia che ha animato parte dell’opinione pubblica e i genitori di Giulio Regeni. Anche la città di Palermo, attraverso fiaccolate e incontri al Comune, ha in questi anni ricordato il ricercatore italiano di 28 anni che stava lavorando da tempo a una tesi di dottorato sui sindacati indipendenti dei venditori ambulanti dell’Egitto. A partire però dal 25 gennaio del 2016 il dottorando originario di Trieste scompare: l’ultimo suo avvistamento è alla stazione Al Buhuth, della metropolitana del Cairo. Poi più nulla fino al successivo 3 febbraio, quando il suo corpo viene ritrovato abbandonato ai lati di una strada e orrendamente mutilato: le ossa di mani e piedi sono rotte, così come cinque denti, mentre sul cadavere vengono incise cinque lettere. Le indagini partono a fatica, così come le azioni diplomatiche tra Italia e Egitto. Da allora, ricorda Palazzotto nella proposta di inchiesta parlamentare, «sono pervenute da parte del governo, degli investigatori e dei media egiziani versioni controverse su cosa sia successo realmente a Giulio Regeni ma, soprattutto, tali versioni non hanno ancora fatto piena luce su nessuno dei punti fondamentali, ovvero su chi lo ha torturato, chi lo ha ucciso, chi lo ha tradito e chi protegge i suoi assassini».
Di più: quando del caso si occupa la procura di Roma, saranno gli stessi giudici italiani a scoprire i
numerosi tentativi di depistaggio da parte dei colleghi egiziani. Tra i casi più eclatanti, sia di presunte verità arrivate dall’Egitto e puntualmente smentite che di eventi che stanno segnando le vicende successive all’omicidio di Giulio Regeni, si ricorda che l’8 febbraio 2016 il ministro dell’interno egiziano Magdi Abdel Ghaffar, a cui fa riferimento la National Security, il servizio segreto interno, ha negato qualsiasi coinvolgimento degli apparati di sicurezza nella scomparsa e nella morte di Giulio Regeni. Successivamente – ricorda ancora Palazzotto – si è scoperto che la National Security seguiva Regeni da almeno un mese prima della sua scomparsa e probabilmente da molto prima, forse già dal suo arrivo in Egitto».
Di fronte, dunque, l’assenza di collaborazione da parte delle autorità egiziane,
Amnesty International ha più volte chiesto alle istituzioni di intervenire. Se da una parte i governi italiani che si sono succeduti in questi anni non hanno mai troncato i numerosi rapporti commerciali col Paese nordafricano, dall’altra la ong e i genitori di Giulio Regeni hanno più volte fatto appello all’Eni, affinché possa «stimolare il governo del Cairo a fare piena luce». Nel 2015, infatti, la multinazionale energetica italiana ha scoperto in Egitto il più grande giacimento di gas del Mediterraneo, e a giugno del 2018 ne ha scoperto un altro nel deserto orientale, tre volte più grande di quello precedente. Fattori che, nonostante il violento omicidio del ricercatore triestino e le continue violazioni dei diritti umani, hanno spinto il cane a sei zampe a definire l’Egitto «un Paese amico».
Adesso dunque le speranze di verità e giustizia, ideali sacrificati sull’altare degli interessi economici in quattro
anni di silenzi e omissioni, si riversano sulla commissione parlamentare. Che viene salutata con favore dal consigliere comunale di Sinistra Comune Fausto Melluso. Le sedute della commissione saranno pubbliche, a meno che venga deciso di riunirsi in seduta segreta. Abbiamo il dovere politico e istituzionale – conclude Palazzotto – non solo per la memoria di Giulio e per la sua famiglia, ma anche e soprattutto per restituire forza ai princìpi di libertà e di giustizia su cui si fonda la nostra democrazia, di pronunciare quelle parole, di affermare che Giulio è stato vittima del mondo che anche noi abbiamo contribuito a costruire o almeno di quello che non abbiamo voluto cambiare. Il fatto che il parlamento italiano non resti in silenzio davanti all‘insopportabile oggettiva omertà del governo egiziano sarebbe già un gesto rivoluzionario».