Giornalismo, com’è difficile essere liberi in Italia!

Il diritto all’informazione non è più un bene di cui gli italiani possono vantarsi. Anche senza voler credere all’analisi condotta da diversi organismi internazionali che hanno sottolineato “un peggioramento delle condizioni di libertà di manifestazione del pensiero e dei media”, lo stato di fatto della libertà d’informazione, nel nostro Paese, sta attraversando un momento particolarmente buio.

È questo il grido d’accusa lanciato da un gran numero di giornalisti nel corso della trasmissione andata in onda mercoledì sera, in streaming, sul sito del Fatto Quotidiano e, vista l’indisponibilità di tutte le reti nazionali, in contemporanea su numerose emittenti locali (nella nostra regione Antenna Sicilia). Tutti i partecipanti hanno richiamato l’attenzione su una realtà che sempre di più, giorno dopo giorno, sta finendo per caratterizzare il nostro Paese e renderlo un esempio da evitare per tutti le altre Nazioni. (a destra, Silvio Berlusconi: foto tratta da valterbinaghi.wordpress.com)

In quasi tutti gli Stati (assolutamente tutti se restiamo in ambito europeo) sono i media, siano essi cartacei, video o radio, a controllare l’operato di chi gestisce la cosa comune; in Italia, invece, avviene esattamente il contrario. È la politica a controllare e strumentalizzare i mezzi d’informazione (tranne rarissime eccezioni).

La televisione di Stato, la Rai, è istituzionalmente gestita dai partiti, come ha dimostrato nel luglio scorso la polemica nata in seguito alla nomina del consiglio d’amministrazione che dopo una accesa bagarre, ha visto il conferimento degli incarichi per la gestione della televisione di Stato, non sulla base di criteri meritocratici, ma sulla base di spartizioni politiche (per stessa ammissione di alcuni dei soggetti scelti). La nomina dei membri indicati dalla Commissione parlamentare di vigilanza, che almeno in teoria avrebbe lo scopo di sorvegliare l’attività del servizio televisivo e radiofonico nazionale e pubblico italiano, e di quelli indicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ha visto uno scontro senza pari tra le forze politiche che ha avuto come unico risultato la conferma della spartizione concordata della RAI, ai fini di distribuire tali risorse agli appartenenti e ai sostenitori dei partiti stessi.

In realtà, è da oltre un decennio ormai che l’accesso alle informazioni a mezzo stampa e media televisivi in Italia non può più essere considerato trasparente. Il 18 aprile 2002, l’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante una conferenza stampa, in occasione della sua visita ufficiale a Sofia, promulgò l’ “editto bulgaro”, nomignolo assegnato alla sua dichiarazione con la quale accusava l’«uso criminoso» della tv pubblica da parte di alcuni giornalisti, tra cui Enzo Biagi e Michele Santoro, e dell’autore satirico Daniele Luttazzi. Alla sua affermazione che «sarebbe stato un preciso dovere della nuova dirigenza» Rai non permettere più il ripetersi di tali eventi, seguì l’estromissione dei tre dal palinsesto delle reti nazionali. L’allontanamento suscitò immediatamente accese critiche anche perché i programmi condotti dai tre vantavano percentuali di share decisamente elevate e, soprattutto, quanto affermato durante le loro trasmissioni, come riconosciuto dai giudici che hanno valutato i loro ricorsi, era pertinente e basato su fatti veri.

Dal 2002 ad oggi in realtà poco è cambiato, anzi semmai stiamo assistendo ad un progressivo peggioramento. Oggi l’informazione nel nostro Paese è controllata, per oltre il 90%, da un solo soggetto, cosa questa che rende praticamente impossibile la corretta gestione dei media e la diffusione delle notizie (o almeno di alcune di loro).

Come confermato da molti testimoni nella trasmissione andata in onda ieri sera, i mezzi di comunicazione (anche quelli non dichiaratamente di parte, come alcuni giornali) sono controllati in diversi modi. Nel caso più comune, a decidere l’oggetto degli articoli e i contenuti sono gli stessi proprietari, in altri casi i giornalisti sono costretti a scrivere su basi decise da altri o vedono i propri articoli mai pubblicati. Nel più squallido dei casi, come riportato nel programma del Fatto Quotidiano, i giornalisti invitati alle conferenze stampa vengono rabboniti con regali di varia natura (dai cellulari di ultima generazione alla cessione di immobili a canoni di locazione ribassati).

Ciò che appare evidente è che siamo di fronte ad una lotta per l’accaparramento e la spartizione politica di tutti i mezzi di comunicazione di massa, una sorta di gestione del Quinto Potere (quello diretto da Sidney Lumet nel 1976).

Chi controlla i mezzi di comunicazione fa di tutto per evitare che l’informazione raggiunga i beneficiari finali senza essere stata prima filtrata e controllata, impedendo la pubblicazione o la messa in onda di articoli e inchieste giornalistiche e riempiendo gli spazi con quella che Freccero ha definito “informamento”, ovvero una crasi tra intrattenimento e informazione (per averne la prova basta vedere alcune delle notizie riportate quotidianamente da quasi tutti i telegiornali). (a sinistra, un’immagine del celebre film “Quinto potere”, foto tratta da qpotere.blogspot.com)

Le televisioni, sia di Stato che private, sono la prova diretta delle forme più clientelari di patronato politico. Già Alberto Ronchey, nel libro “Accadde in Italia: 1968-1973”, aveva richiamato l’attenzione su questo problema. Dopo trent’anni nulla è cambiato. Lo dimostra l’incontro che, come riportato da Beppe Giulietti su Il Fatto Quotidiano, si sarebbe tenuto ad Arcore qualche settimana fa e nel quale sarebbe stato predisposto un vero e proprio piano mediatico per accompagnare e sostenere la candidatura dell’ex presidente del Consiglio e per “neutralizzare” gli annunciati cambiamenti alla Rai, “difendendo” i lotti già conquistati e consolidando la permanenza degli uomini di fiducia nelle reti, nelle testate e nelle strutture di comando, quasi fossero una sorta di fortezza.

Le ultime nomine Rai, al di la dei giudizi sulle singole persone, hanno sostanzialmente confermato il dominio della politica sul servizio pubblico. Dopo Biagi e Santoro sono stati cacciati Sposini, la Dandini, Emanuela Falcetti e molti altri, mentre spazi sempre maggiori sono stati concessi a giornalisti o a intrattenitori graditi all’uno o all’altro partito politico.

Oggi si assiste sempre di più ad un prevalere dell’intrattenimento, dello spettacolo (tanto che ogni anno addirittura si legifera in deroga ai regolamenti vigenti di conferire un compenso più elevato di quello massimo previsto dalla legge per gli incarichi statali pur di garantire la partecipazione di certi soggetti a spettacoli come il Festival di Sanremo). Allo stesso tempo, sempre meno spazio viene lasciato all’informazione ed all’approfondimento di eventi che si verificano nel nostro Paese e nel mondo e che potrebbero avere conseguenze rilevanti sulla vita di tutti gli italiani. Scelta, quest’ultima, che permette a chi gestisce la cosa comune di adottare con minori rischi le misure che desidera, senza il pericolo di incappare in dissensi da parte della gente o, peggio, di forme di protesta da parte di cittadini ben informati.

Da alcuni anni, però, quello che i governi (tutti indistintamente, siano stati di destra, di sinistra o tecnici) cercano di fare, e, cioè, controllare l’informazione, è diventato più difficile. Ciò grazie ad una maggiore autocoscienza dell’audience, ma anche grazie all’uso di strumenti di comunicazione più difficili da controllare. Non è un caso se la stessa trasmissione del Fatto Quotidiano è stata trasmessa in streaming sulla rete internet….

 

 


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