Secondo il reggente della procura etnea Michelangelo Patanè l'assassinio compiuto nella notte di martedì a Nicolosi rientra tra casi definiti «imprevedibili». L'ex compagno, reo confesso, «è stato denunciato per stalking due anni fa, con vari tentativi per tornare assieme», ribatte la blogger Eretica, in un post sul sito Abbatto i muri che riprendiamo
Giordana Di Stefano, un delitto annunciato La favola sbagliata dei «sentimenti violenti»
Riprendiamo, con il consenso dell’autrice, la riflessione sull’omicidio avvenuto martedì notte a Nicolosi firmata dalla blogger Eretica. Una considerazione, pubblicata sul blog Abbatto i muri, nata dopo aver letto le dichiarazioni del reggente della procura di Catania, Michelangelo Patanè, e riportate anche dalla nostra testata.
Leggo su Meridionews che il procuratore capo, facente funzione, Michelangelo Patanè definisce l’assassinio di una donna come un caso imprevedibile provocato da «sentimenti violenti». Non so come e perché Patanè ritenga imprevedibile qualcosa che era facilmente intuibile dai trascorsi dell’assassino. Vediamo: è stato denunciato per stalking due anni fa, con vari tentativi per tornare assieme e, da quel che dice il sito d’informazione, anche per farle ritirare la denuncia. Dopo due anni si parla di prima udienza preliminare ma per la procura ci sarebbero «sentimenti violenti che scatenano all’improvviso. E non servono eventi che facciano ipotizzare quello che è successo».
Giordana Di Stefano è stata uccisa con quaranta coltellate. Il suo assassino, Antonio Priolo, è stato arrestato ed è reo confesso. Il procuratore catanese aggiunge che «la sola risposta giudiziaria non è sufficiente a fronteggiare i casi di stalking. Come in questo caso, il processo non è servito da deterrente per l’omicida».
Sono d’accordo. La via giudiziaria non serve a molto. In assenza di una adeguata protezione della vittima – casa e lavoro in un’altra città potrebbero essere utili – serve solo a fare arrabbiare di più il denunciato esasperando rapporti già di per sé esasperati. Non ho mai creduto che la soluzione a questo tipo di delitti sia la denuncia e il carcere, ma il procuratore deve anche raccontare di possibili alternative. Hanno forse tentato di raccordarsi con una rete di servizi territoriali per prevenire quel delitto? Hanno forse tentato di dissuadere l’uomo dall’idea di stalkerizzare la sua ex? Lo hanno aiutato ad andare avanti? Hanno aiutato lei, concretamente, a vivere un’altra vita? Perché se tra la denuncia e un processo passano diversi anni senza che nulla avvenga non si tratta più di «sentimenti violenti che scatenano all’improvviso» ma di un delitto annunciato che non dipende né dai «sentimenti», ché la violenza non ha nulla di sentimentale, né da un «raptus» improvviso.
In questo caso il procuratore sfugge ad una critica severa che fa emergere l’inadeguatezza e l’inutilità dell’impegno istituzionale. Inoltre penso che questo tipo di delitti dipenda da una cultura sbagliata che insiste sulla favola che parla di gesti improvvisi e sentimenti violenti, e dunque, in questo caso, la procura non dimostra di essere all’altezza neanche per dare un messaggio corretto da rivolgere alle famiglie delle vittime, alle sopravvissute da tentato femminicidio, a tutte quelle persone che lavorano per tentare di cambiare la cattiva cultura e la cattiva comunicazione.
Con la speranza che la procura si ravveda e con un abbraccio solidale ai parenti della vittima, così concludo.