Giocare nel tempo

Tra pochi giorni sarà Natale. E già pare di sentirla quella magica atmosfera: strade illuminate a festa, decorazioni, il tipico profumo degli abeti, le strade affollate da gente stressata per i mille regali da acquistare come sempre all’ultimo momento, e poi loro, i piccoli protagonisti di questa antica festa, i bambini.

Chi di noi non ha scritto almeno una volta nella vita la tanto sospirata lettera a Babbo Natale in cui racchiudere tutti i desideri e i tanti buoni propositi per l’anno nuovo? Così anche quest’anno, chi non l’ha già fatto, starà scrivendo proprio in queste ore la sua letterina. Ma se tutti i riti di questa festa non sono cambiati in questi anni, una cosa almeno è cambiata: i desideri dei bambini.
Se un tempo, infatti, i piccoli uomini di domani si accontentavano di una bambola di pezza o di una macchinina, oggi come minimo si aspettano dal fatidico papà vestito di rosso 5 o 6 regali, e tutti dell’ultima generazione: videogame, giochi elettronici, la Playstation, il computer e perché no, anche un bel cellulare – per telefonare non si sa a chi – o i jeans firmati.
Cent’anni fa, invece, per far contento un bambino bastava veramente poco: una biglia o in assenza di quella anche un sassolino, un pezzetto di stoffa, carta e matita o una tavola di legno con la quale costruire decine di giochi diversi. Il tutto condito da tanta, tanta fantasia.

E sulla scia dei ricordi, per dimostrare e mostrare a chi in quegli non era ancora nato o a chi invece ne conserva preziosi ricordi, quanto era facile divertirsi, l’associazione Comunicare Organizzando in collaborazione con il Comune di Roma ha allestito una splendida e suggestiva mostra al Complesso del Vittoriano, che resterà ancora aperta al pubblico gratuitamente fino al 6 gennaio 2007. Una mostra, è bene sottolinearlo, dedicata a grandi e piccini, perché: “il bambino che non gioca non è un bambino. Ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che è dentro di sé”. Parola di Pablo Neruda.

10.664 pezzi per un totale di oltre 33.000 componenti di gioco provenienti dalla collezione dei giocattoli antichi “Leonardo Servadio” di proprietà del Comune di Roma dal 2005, sono in mostra nel salone centrale del Vittoriano, racchiusi in teche trasparenti e divisi per genere: dai soldatini alle macchinine, dai cavalli a dondolo alle bambole, dalle costruzioni ad ogni tipo di pupazzo.

Il nucleo principale della raccolta apparteneva fino al 1999 al collezionista svedese Peter Pluntky, ed era esposto nel Legetoismuseet di Stoccolma. I giocattoli risalgono alla cosiddetta “Età d’oro” del giocattolo, cioè gli anni tra il 1850 e i primi del Novecento, e ci sono anche alcuni preziosi e rarissimi giocattoli del XVII sec. La maggior parte dei giocattoli proviene dalla Germania e dalla Svezia; il resto dalla Francia, dall’Italia, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti.

La sezione sicuramente più corposa è quella dedicata ai soldatini in stagno dei primi del Novecento e ai mezzi di trasporto civili e da guerra: trenini, automobili e aerei in miniatura (il più antico in grado di volare risale al 1848 e fu costruito in Gran Bretagna), e un paio di splendidi esemplari di biciclette e macchine a pedali per bambini. Da segnalare una rara mongolfiera in latta tedesca del 1896.

Le bambine potranno apprezzare la ricca sezione dedicata alle bambole fabbricate in Europa con diversi materiali: pezza, cera, celluloide, quelle con i costumi regionali, quelle ricaricabili e la prima coppia di Barbie e Ken prodotta negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso. Tra le bambole spicca per qualità e rarità una bambola con il corpo di cartapesta, la testa in bisquit e occhi mobili fabbricata in Germania nel 1910. E poi una stupenda e accuratissima casa per le bambole costruita artigianalmente per la piccola proprietaria svedese dal fratello John Carlsen nel 1912. La casa di bambole di Elsa è stata costruita utilizzando una vetrinetta di legno ed ha quattro piani, tutti accuratamente arredati nello stile dell’epoca compresi i personaggi e ogni tipo di suppellettile (servizio di piatti d’argento, scope per pulire, asciugamani nel bagno, quadri e alcuni quotidiani del 1906) e un ascensore ancora funzionante costruito con i meccanismi degli orologi.

Al centro della sala c’è un enorme cilindro in rotazione sul quale sono poggiati oltre duecento automi e pupazzi in latta, legno, stoffa, cartapesta, celluloide, della metà del XX sec., protetti dalle mani curiose dei più piccini da una rete. E ancora alcuni pregevoli giochi ottici che raccontano la storia dell’immagine animata (dai primi traumatropi e diorami tedeschi e francesi del 1820-30, fino ad un minitelevisore giapponese degli anni Cinquanta), giochi musicali, scatole di costruzioni di legno tedesche decorate con immagini litografate del 1915-20, album da colorare svedesi con la favola di Pinocchio del 1941, puzzle e pure un flipper degli anni ’60.

Dunque giochi e giocattoli, antiche creazioni artigianali di ditte specializzate o di semplici bambini che in tempi di miseria erano costretti ad inventare ogni giorno nuovi modi e mezzi di divertimento.
Un vero tuffo nel passato con l’occhio proiettato al presente, perché è dal confronto con il passato che, forse, ogni tanto si potrebbe apprendere qualcosa per migliorare il presente e il futuro.
Perché in un mondo in cui tutto cambia una cosa almeno non cambia: la voglia, la necessità e il diritto inalienabile di ogni bambino di giocare. E in un mondo in cui tutto è diventato prodotto, business, marketing, la fantasia, quella ancora non la si può comprare.


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