Giarre, perché la Regione vuole chiedere il dissesto La lettera sbagliata e i «dati inattendibili e opachi»

Una tegola pesantissima sul Comune di Giarre. La lettera con la quale l’assessorato regionale alle Autonomie locali ha dato al Consiglio comunale giarrese dieci giorni di tempo per dichiarare il dissesto è stata un fulmine più grosso degli altri in un cielo già in tempesta. Con qualche perplessità in più dovuta, essenzialmente, alla formulazione del documento arrivato da Palermo: sia perché l’assessorato regionale, secondo il Testo unico degli enti locali, non ha il potere di obbligare un Consiglio comunale a dichiarare il dissesto (compito che spetta invece alla prefettura), sia perché i tempi previsti non sono quelli di legge: l’ente regionale dà a Giarre dieci giorni di tempo, la normativa ne prevede venti. «Senza contare che la lettera ci è arrivata alla chiusura degli uffici di venerdì – dichiara a MeridioNews il sindaco Angelo D’Anna – Abbiamo rischiato di vederla solo lunedì mattina, perdendo giorni preziosi per decidere il da farsi». Una opzione è che l’amministrazione faccia ricorso al tribunale amministrativo regionale, chiedendo quindi che la questione dissesto venga messa in discussione.

Per capire cosa è accaduto bisogna semplificare la questione e fare una serie di passi indietro. E tornare, nello specifico, al lontano 2013, quando l’amministrazione guidata dall’allora sindaca Mpa Teresa Sodano decide che, poiché le uscite dell’ente superano sistematicamente le entrate, è necessario varare un piano di riequilibrio economico-finanziario. Cioè di approvare una procedura che serve a far rientrare il municipio dal rischio dissesto. Pochi mesi dopo, si insedia l’amministrazione di centrodestra guidata da Roberto Bonaccorsiadesso vicesindaco di Catania, l’allora primo cittadino giarrese veniva da un’altra esperienza amministrativa. Era stato assessore al Bilancio a Palazzo degli elefanti e, con il sindaco Raffaele Stancanelli, aveva fatto per il capoluogo etneo quello che Sodano, poco prima, aveva fatto a Giarre. La corrispondenza di amorosi sensi tra Giarre e Catania, in realtà, non si esaurisce qui. Ma diventerà fondamentale nei momenti successivi di questa storia.

Bonaccorsi, da neosindaco di Giarre, cinque anni fa prende in mano il documento che gli aveva lasciato in eredità l’amministrazione Sodano e, come la legge prevede, apporta delle modifiche. Una rimodulazione che, a settembre 2014, viene approvata dalle sezioni riunite della Corte dei Conti di Palermo, l’organismo chiamato a verificare il corretto comportamento delle amministrazioni pubbliche rispetto alla gestione delle proprie finanze. Tra i suoi compiti c’è anche di controllare, ogni sei mesi, che gli obiettivi del piano di rientro vengano rispettati. Così da garantire il corretto andamento di una procedura che, se di successo, permette a un’amministrazione di guardare al futuro, anziché solo a mettere pezze sul passato.

Il piano di Bonaccorsi viene definito da più parti il SalvaGiarre e applica al Comune dell’area ionica la stessa ricetta trovata per Palazzo degli elefanti, e le opposizioni – come nel capoluogo etneo – lo criticano selvaggiamente. Proprio dal Consiglio comunale giarrese nasce la brusca chiusura dell’esperienza del sindaco: nel senato cittadino non si trovano accordi, gli uomini di riferimento di Articolo 4 (poi confluito nel Pd) si mettono di traverso e il sindaco, preso atto dell’ostruzionismo costante, rassegna le dimissioni a marzo 2016. A giugno di quell’anno, dopo il voto, si insedia a palazzo il civico Angelo D’Anna, che rimodula nuovamente il piano di rientro e prova, in una prima fase, a prolungarne la durata. Fino a qui tutto regolare, se non fosse che la nuova rimodulazione deve passare dall’approvazione del ministero dell’Interno, che ancora non ha espresso il suo parere. Così come non lo ha fatto sulla rimodulazione approvata dal Consiglio comunale di Catania più o meno nello stesso periodo.

A questo punto si pone un dilemma: la Corte dei conti deve continuare a controllare lo stato di avanzamento del piano di rientro? E se sì, di quale? Di quello già approvato o dell’altro che, invece, deve avere ancora il placet ministeriale? La risposta arriva a marzo 2017: in attesa che Roma dica la sua, si verifichi il piano di riequilibrio originario. È così che vengono richieste, a Giarre come a Catania, le relazioni dei revisori dei conti comunali sui bilanci previsionale e consuntivo del 2015 e previsionale del 2016. Sulla base di questo materiale, la sezione di controllo della Corte dei conti di Palermo convoca in via Notarbartolo il Comune di Giarre il 25 gennaio 2018. In quella occasione, l’assessore al Bilancio Salvo Vitale si presenta con la sua relazione e affida alle sue risposte le speranze dell’amministrazione.

La replica della magistratura contabile arriva il 27 marzo 2018 ed è durissima. Parla di opacità, di dati inattendibili e di «un progressivo deterioramento della situazione finanziaria dell’ente». E va oltre: i giudici di Palermo dicono che, se anche si volesse tenere conto del piano di riequilibrio così come rimodulato e presentato al ministero dell’Interno (che pure non l’ha ancora approvato), non basterebbe comunque. Perché nel nuovo piano si parla di 41 milioni di euro di passività, mentre le verifiche della Corte dei conti avrebbero portato ad accertare un rosso di almeno 57 milioni di euro. Per capire come sia accaduto, la Corte gira il suo pronunciamento alla procura di Catania.

A questo punto, siamo quasi alla fine della storia. La sezione di controllo contabile che si è espressa va considerata come una sorta di primo grado di giudizio, a cui deve seguire il secondo grado: le sezioni riunite. Il Comune di Giarre fa ricorso a quelle. Il 13 giugno la Corte dei Conti sezioni riunite emette un dispositivo con il quale annuncia di avere rigettato il ricorso dell’amministrazione D’Anna. Le motivazioni non sono ancora state depositate e il sindaco e i suoi le attendevano per comprenderne le motivazioni, se non fosse che, il 6 luglio, arriva la pec dell’assessorato regionale alle Autonomie locali. Che dà al Consiglio comunale dieci giorni per deliberare il dissesto. Nella lettera, però, c’è un errore di forma: si parla di un Comune che non ha ancora approvato un piano di riequilibrio e non, come in questa circostanza, di chi lo avrebbe adottato ma non rispettato. Uno dei punti sui quali potrebbe vertere una eventuale opposizione che l’amministrazione D’Anna afferma di voler tentare. La partita, quindi, sembra ancora aperta.


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