Fatta luce sull'eclatante delitto consumato la sera del 17 dicembre 2015 in un bar davanti alla cattedrale. Arrestati Nicola Liardo, il figlio Giuseppe, e Salvatore Raniolo. «Doveva essere qualcosa di plateale», spiegano i carabinieri. Guarda il video
Gela, Mimmo Sequino punito per un’estorsione saltata Mandanti rimproverano killer: «Dovevi sparare in faccia»
Gela, sono le 19.45 del 17 dicembre 2015, il centro storico è illuminato dalle luminarie natalizie. Il corso
principale della città è affollato di passanti che fanno shopping nei negozi addobbati a festa.
Domenico
Sequino sta giocando a carte con amici in piazza Umberto
, a pochi passi dalla cattedrale. All’improvviso,
quasi dal nulla sbucano
due giovani in sella ad una Honda SH150 di colore grigio.
Vanno dritti all’obiettivo e sparano
cinque colpi di pistola alla schiena a Sequino, che muore quasi subito.
I fotogrammi raccolti dai filmati di videosorveglianza acquisiti dai carabinieri, raccontano con crudezza il
film dell’esecuzione del tassista
. Pochi attimi che scandiscono l’omicidio Sequino, rimasto finora irrisolto.
Oggi, a distanza di quattro anni,
si scoprono mandanti e autore del delitto. Lo avrebbero ordinato dal
carcere
Nicola Liardo, 44 anni, uomo d’onore recluso per droga, e il giovane figlio, ancora ventiduenne
Giuseppe, anche lui in carcere per stupefacenti.
Ad eseguirlo è stato il genero di Nicola Liardo,
Salvatore Raniolo, detto Tony, 29 anni, anche lui
pregiudicato. Ancora non identificato l’altro complice che era in sella allo scooter Honda 150 utilizzato per
l’omicidio.
I carabinieri intervenuti subito sul posto trovarono sei bossoli calibro 7,65. Subito dopo visionarono le immagini
registrate dalle numerose
telecamere presenti in quella zona, ricostruendo il percorso fatto dagli autori del
reato per giungere al luogo del delitto e per allontanarsene.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti,
i Liardo volevano indietro i soldi che avevano consegnato a
Domenico Sequino e che il tassista avrebbe dovuto reinvestire al Nord
, attraverso presunti canali illeciti.
Sequino, inoltre, secondo le indagini, si sarebbe intromesso in un’estorsione portata avanti dai Liardo,
tentando di
difendere l’imprenditore che era stato messo nel mirino da padre e figlio. Uno sgarro che gli
sarebbe costato la vita.
Il comportamento di sfida del tassista gelese poteva, secondo Liardo, indebolire l’immagine del clan e per
questo motivo bisognava lavare l’offesa con il sangue. «
Doveva essere qualcosa di plateale – ha dichiarato il colonnello Baldassarre Daidone, comandante provinciale dell’Arma – ecco perché è stato scelto quel luogo e quel preciso orario. Tutti dovevano vedere
come veniva punito chi sgarrava».
Addirittura i Liardo arrivarono a lamentarsi con il Raniolo, esecutore materiale dell’omicidio perché aveva
sparato a Sequino alle spalle. «
Queste cose si fanno sparando in faccia» avrebbero detto durante una
conversazione intercettata dai carabinieri.
Determinanti ai fini dell’individuazione degli autori del reato sono stati gli esiti delle indagine già condotte
dai carabinieri di Gela – anche attraverso lo svolgimento di attività tecnica – nei confronti del gruppo
riconducibile proprio a Nicola Liardo, dedito al traffico di stupefacenti nell’ambito dell’operazione
denominata
Donne d’onore.