Gela, la battaglia nel nome del padre morto Lavorava al reparto killer del petrolchimico

Morti sul lavoro: un dramma invisibile e in questi tempi di crisi quasi trascurato. Specie se di lavoro si muore o comunque ci si ammala dopo anni di sfiancanti turni e condizioni malsane. È avvenuto col reparto Clorosoda del petrolchimico di Gela. Una storia drammatica, tra le tante, e destinata a non superare gli angusti confini cittadini. Se non fosse stato per Daniele Esposito Paterno. Prima attraverso un post sul blog di Beppe Grillo. Poi, nell’ottobre del 2012, con un libro autoprodotto. Dal titolo altisonante: Grande storia di un piccolo uomo. Già nel sottotitolo si delineano gli intenti, cioè raccontare «le verità non dette sul Clorosoda di Gela».

Daniele ha 31 anni. Si definisce «un precario a tempo indeterminato». Lavori saltuari giù e su per l’Europa. Un giovane come tanti in una terra sempre più arida di promesse e di sogni. «Fino a qualche anno fa – dice – speravo in una raccomandazione per entrare allo stabilimento. Oggi ho una guerra aperta con loro». Il motivo? Il padre di Daniele, Franco, aveva lavorato per oltre 20 anni proprio all’interno del reparto Clorosoda del petrolchimico di Gela, con mansione di capoturno. Poi la terribile scoperta: un tumore al polmone che nel 2006 lo uccide.

«Da quel momento la mia vita è cambiata» aggiunge Daniele. Insieme a Massimo Grasso, figlio di un altro operaio morto per le stesse cause e a un ex capoturno ha fondato un comitato spontaneo per gli ex lavoratori dell’impianto. Ha portato in tribunale l’Inail, e al primo grado di giudizio il giudice del lavoro del tribunale di Gela Luca Solaino ha riconosciuto la malattia professionale quale causa della morte del padre di Daniele. Condannando l’Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro a erogare alla famiglia del defunto la quota di indennità reversibile spettante.

Daniele non si è accontentato e, alla ricerca di verità e giustizia, ha fatto causa anche alla Syndial, l’ultima di tante società (un insieme di scatole cinesi) che ha assorbito il reparto Clorosoda. Poi con gli ultimi risparmi ha dato alle stampe la propria verità. Un libro sincero, ruspante e scomodo, pieno di dati e testimonianze, senza nascondere vecchie ferite. E che allo stesso tempo gli ha regalato solidarietà ed attenzioni. Non ultime quelle della Procura di Gela. Il gip Lirio Conti all’inizio del 2013 ha disposto l’incidente probatorio. Inoltrando 17 avvisi di garanzia con l’accusa di omicidio colposo e di lesioni aggravate, tra ex dirigenti Eni e Clorosoda. La prossima udienza è stata rinviata al 16 dicembre, a causa della polemica nata attorno alla perizia della Procura. Daniele però continua a non demordere. Parte dei proventi che ha ricavato dalla vendita del libro li ha regalati al movimento No Muos. «Quando vedo persone che mettono in gioco la propria vita per gli altri – conclude – sento il dovere di aiutarli».


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Se qualche anno fa l’avessero raccomandato per lavorare all'impianto dell'Eni avrebbe accettato volentieri. Oggi invece combatte per ottenere verità e giustizia. E’ la storia di Daniele Esposito Paternò, figlio di un ex capoturno della sezione Clorosoda, deceduto per un tumore ai polmoni. Ha citato in giudizio l’Inail e ha scritto un libro grazie al quale la storia del reparto killer è venuta allo scoperto

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