Gela, il reparto killer del petrolchimico Al processo perizia fa infuriare ex lavoratori

Ci sono i morti, ci sono i malati, manca ancora l’individuazione del colpevole. Seppure i sospetti e le prove sono tante. E’ la sintesi del pensiero degli ex lavoratori e dei familiari dei lavoratori del reparto Clorosoda, uno dei principali impianti del petrolchimico di Gela. Attivo dal 1972 al 1994, all’interno vi era un’elevata esposizione a sostanze chimiche. A raccontarlo sono gli stessi operai. Dal mercurio, che veniva persino toccato con le mani ed esalato, al cloroetano che è tra i principali componenti dell’altamente cancerogeno cloruro di vinile. Ed altri acidi molto potenti come l’acido cloridrico e l’idrogeno solforato. Oltre al micidiale amianto, utilizzato un po’ ovunque nell’edilizia italiana e fuorilegge dal 1992.

Sono numerose le patologie tumorali che hanno decimato nel corso degli anni gli ex dipendenti. Tanto da essersi meritato il micidiale soprannome di reparto killer. Al processo che vede imputati 17 ex dirigenti dell’ex Anic (Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili) – indagati per omicidio colposo e lesioni aggravate nei riguardi di quei lavoratori deceduti o che comunque hanno subito danni biologici permanenti – secondo i periti nominati dalla Procura non ci sarebbe il nesso causale tra la morte o le malattie dei dipendenti e le condizioni del reparto.

La prossima udienza è stata rinviata al 16 dicembre. Il giudice Fabrizio Molinari ha infatti accolto le richieste dei difensori dei lavoratori. I legali hanno fatto presente che i tecnici che hanno depositato una perizia di 1550 pagine sono gli stessi che hanno fatto parte del progetto Gemelli Insieme, iniziativa ideata dal Policlinico Universitario Agostino Gemelli per promuovere un programma di prevenzione dedicato alla salute. Ma tra i principali partner dell’iniziativa figurava anche l’Eni. Un presunto conflitto d’interessi, dunque, che insieme alla vastità e alla complessità della perizia depositata dai quattro consulenti tecnici ad appena dieci giorni dall’udienza ha fatto propendere per il rinvio.

Si allungano dunque i tempi della battaglia che da ormai otto anni – nel 2006 è stato fondato il comitato spontaneo ex lavoratori Clorosoda – vede impegnati gli ex lavoratori ed i familiari di coloro che non ci sono più. Un’altra tappa, in attesa che arrivi non tanto l’impossibile happy end, ma almeno il raggiungimento di verità e giustizia. In questo arco di tempo il comitato ha prodotto una documentazione sempre più ampia. Impegnandosi con ogni sforzo per vedere riconosciuti i propri diritti. Se oggi a Gela esiste un reparto di radioterapia lo si deve anche alla loro tenacia. Ma non basta, non può bastare. Ecco perché la maxiperizia che non si limita ad escludere il nesso causale ma descrive un ambiente di lavoro sano suona tanto come una beffa per chi è rimasto a lottare. «E’ sconvolgente – scrivono in una nota i componenti del comitato – li hanno uccisi una seconda volta. Ma noi andremo avanti con la nostra battaglia».


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Si chiama Clorosoda la sezione dove lavoravano molti di quelli che successivamente si sono ammalati e in alcuni casi deceduti. Nel processo che vede indagati 17 dirigenti dell’ex Anic per omicidio colposo e lesioni aggravate, fa discutere la maxi perizia di 1550 pagine che esclude nessi di casualità tra le condizioni del reparto e la salute di chi ci lavorava. Viziata, secondo i legali degli ex dipendenti, anche da un presunto conflitto d'interessi

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