«Collegare gli incendi ai progetti per il fotovoltaico è una cosa che non sta né in cielo né in terra». A dirsi certo dell’infondatezza di quella che, per il momento, resta un abbozzo di ipotesi, ma comunque capace di attirare l’attenzione della commissione regionale Antimafia, è Roberto Bissanti. Ingegnere palermitano, è uno dei tanti professionisti che si occupa di rinnovabili, settore che – complice l’attualità del Piano nazionale di ripresa e resilienza e la più generale necessità di distaccarsi dalle fonti fossili – da mesi è in cima all’agenda pubblica. Ed è prevedibile che lo rimarrà per i prossimi anni. Oltre che essere progettista di impianti, Bissanti ha avuto un ruolo anche nella redazione del programma energetico con cui, nel 2017, il Movimento 5 stelle si è presentato alle Regionali. Lo stesso partito che, di recente, ha annunciato di volere mettere ordine a un mondo che, specialmente nell’isola, soffre di una regolamentazione lacunosa.
Era tanto che in Sicilia non si verificavano così tanti roghi. Per molti non si può più parlare di piromani o allevatori, e così si è iniziato a pensare a quale sia l’elemento di novità.
«Chiunque pensi che in questo gravissimo problema possa avere un ruolo il dibattito sul fotovoltaico finisce fuori strada, non fosse altro che mancherebbe il movente».
L’assessora all’Energia ieri ha ricordato i limiti previsti dalla legge per le aree boschive incendiate, tra cui il divieto di realizzare impianti per dieci anni. Ma non è chiaro quanto sia applicabile alle aree agricole.
«Ma a parte quella legge, le dico proprio che nessun imprenditore avrebbe giovamento dai roghi. Il motivo è semplice: c’è la fila di proprietari propensi a vendere i terreni alle ditte che si occupano di fotovoltaico e questo perché vengono pagati molto di più di ciò che rendono. I progettisti non fanno fatica a trovare i terreni su cui installare i pannelli, semmai il lavoro sta nello scartare quelli meno convenienti. L’agricoltura è in ginocchio e di certo non lo è a causa di chi si occupa di rinnovabili».
Come mai in Sicilia le imprese del fotovoltaico puntano tutto sui terreni agricoli? Le linee guida del Pnrr dicono che gli obiettivi 2030 vanno raggiunti a partire da cave e discariche dismesse, da siti inquinati e aree industriali.
«Presentare un progetto su un’area agricola, trattando la compravendita con il proprietario, è molto più facile. Ma non dipende dagli imprenditori, bensì dalla Regione che finora non ha fatto nulla per pianificare la gestione delle altre aree attrattive».
Cosa è che manca?
«Le faccio un esempio: si fa presto a dire che bisogna realizzare gli impianti nelle cave dismesse. Ma dove e in che condizioni si trovano? Vanno ancora bonificate? La proprietà è demaniale o privata? Sono domande dalle risposte non chiare, che testimoniano come a livello centrale si sia fatto molto poco. Stando così le cose, è normale che le imprese cerchino soluzioni più comode».
La commissione per le valutazioni ambientali ha sottolineato come il Piano energetico della Regione manchi di mappature degli impianti esistenti e dei siti che possono ospitarli, cave dismesse comprese.
«La Regione dovrebbe individuare in maniera precisa quali aree adibire al fotovoltaico. Ma non basta trovarne disponibili, bisogna capire se sono funzionali. A partire dalla vicinanza alla rete a cui vanno collegati gli impianti. Fatto questo, dovrebbe pensare ad acquisirle, autorizzarne i progetti e metterli all’asta. Le imprese si fionderebbero sulle gare a evidenza pubblica e la Regione ci guadagnerebbe dalle concessioni».
Secondo lei, perché finora non si è fatto nulla di ciò?
«Vuole una risposta secca? Incompetenza e inerzia della politica. Nient’altro. Da un’operazione del genere ci guadagnerebbero tutti: le grandi imprese avrebbero la possibilità di aggiudicarsi spazi con autorizzazioni chiavi in mano, anziché faticare anni per ottenerle; le casse della Regione verrebbero rimpinguate e i politici ne gioverebbero in termini d’immagine per l’impegno mostrato nei confronti del territorio».
A proposito di territorio, l’era del fotovoltaico per la Sicilia sarà simile a quella dell’eolico? Tante speculazioni, con tanto di infiltrazioni di Cosa nostra.
«Queste generalizzazioni fanno incavolare. Come in tutti i settori, ci sono soggetti propensi a delinquere ma restano una minoranza. Sta a chi è deputato a controllare far sì che tali iniziative vengano bloccate».
In Regione ci sono decine e decine di progetti presentati da imprese con capitali sociali risibili. In alcuni casi anche cento euro. Che affidabilità danno?
«Guardare al capitale sociale è fuorviante. Spesso sono società di scopo costituite con l’obiettivo di portare avanti il progetto e realizzarlo. E sottolineo questo, perché in molti si dimenticano che in Sicilia è ancora in vigore un decreto presidenziale del 2012 che prevede che ogni impresa presenti una lettera di patronage in cui una banca dichiara la capacità finanziaria della società di portare a compimento l’opera».
Quindi nessun mercato delle autorizzazioni? Nell’eolico e non solo, Vito Nicastri puntava a fare questo.
«Ha molto più senso vendere una società di scopo nel momento in cui l’azienda che la controlla decide di capitalizzare. Va tenuto a mente che dietro queste società, apparentemente piccole, ci sono soci che sono colossi. Poi se ci sono casi, ma non ne sono a conoscenza, in cui il decreto del 2012 non viene applicato vanno ricondotti alle responsabilità di chi gestisce le pratiche».
Chi si oppone ai grandi impianti fotovoltaici mette in gioco anche la difesa del territorio dalla desertificazione.
«Le posso dire che personalmente sono a favore dei progetti di generazione distribuita, ma al contempo mi sento di dire che sugli impatti ambientali c’è poca informazione. Intanto parliamo di progetti che occuperebbero circa l’un per cento delle aree agricole e poi, per quanto riguarda la desertificazione, va detto che oggi la stragrande maggioranza degli impianti sono realizzati a circa un metro da terra. Ciò garantisce un riscaldamento dei terreni decisamente inferiore».
Bisogna rassegnarsi a sacrificare parte dell’agricoltura per avere energia verde?
«A creare le condizioni per il tracollo dell’agricoltura non sono stati gli imprenditori delle rinnovabili. Le politiche a sostegno di chi coltiva la terra sono carenti da più punti di vista, anche da quello energetico. Mi chiedo, per esempio, cosa si aspetti a proporre degli incentivi per dare la possibilità alle aziende agricole di puntare sul fotovoltaico per rendere sostenibili le proprie attività».
Ci sono poi le città. Le comunità energetiche – dove i singoli soggetti sono chiamati a produrre, scambiare e consumare energia in modo sostenibile – riusciranno ad affermarsi?
«Le nostre aree metropolitane hanno uno sviluppo verticale ed è impensabile che si raggiunga l’autosufficienza con i pannelli sui tetti. Per questo dico che la Regione dovrebbe pianificare le aree, trovando aree fuori dalle città ma sufficientemente vicine, in cui favorire la nascita degli impianti. Riguardo alle comunità energetiche, io credo che molto possa e debba essere fatto dai Comuni. Il pubblico deve iniziare a promuovere queste iniziative e conquistare la fiducia dei cittadini. Dopodiché sono convinto che le richieste aumenterebbero coinvolgendo anche i privati che operano nel settore».
A proposito di pianificazione, la commissione tecnica specialistica di Angelini ha bacchettato il dipartimento all’Energia per la mancata individuazione delle aree non idonee nel Piano energetico regionale.
«Quello delle aree non idonee è un concetto che viene interpretato male. Le Regioni hanno la possibilità di individuarle, ma ciò dovrebbe far sì che un progetto presentato su un’area idonea goda di un iter autorizzativo più veloce. Se invece le aree non idonee vengono viste come strumento per vincolare il territorio, allora si commette un errore. Perché, a differenza di quel che si crede, esistono già tanti vincoli a limitare la progettazione».
Intanto, è stato proprio un deputato del M5s che ha annunciato un ddl per confinare al dieci per cento la porzione di terreno agricolo da adibire a fotovoltaico.
«Conosco e apprezzo Giampiero Trizzino, ma in questo caso credo che si tratti di una proposta di legge senza futuro. Verrebbe sicuramente impugnata, anche a livello europeo, perché rallenterebbe il raggiungimento degli obiettivi previsti per il 2030».
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