Il progetto di Limes 20, che vorrebbe installare quasi 50mila moduli nel Val di Noto, ha riproposto una volta il tema della localizzazione degli impianti . Un aiuto potrebbe arrivare dal piano energetico che attende di essere varato dalla giunta Musumeci
Fotovoltaico e agricoltura, appello a difesa delle eccellenze Angelini: «Individuare aree non idonee sarà passo importante»
Aree agricole e fotovoltaico. Il binomio – nell’ultimo anno sempre più presente all’interno dei progetti che affollano gli uffici della Regione, perlomeno fino a quando il decreto Semplificazioni bis non ha spostato a Roma la competenza per gli impianti di grandi dimensioni – in questi giorni è tornato a fare discutere per il parco da 20 megawatt che dovrebbe sorgere nel Val di Noto. Un’area in cui insistono numerosi siti tutelati dall’Unesco e divenuta simbolo per la valorizzazione delle risorse del territorio, specialmente in campo culturale ed enograstronomico. Terreni che in molti casi servono a coltivare prodotti a marchi tutelati, ricercati anche all’estero, dal vino agli ortaggi. Nel Siracusano, dove già l’anno scorso proteste si erano sollevate per il via libera a un parco a ridosso di Canicattini Bagni, a essere contrari al progetto della Limes 20 – società le cui quote sono di Limes Renewable Energy e della holding European Energy Italy Pv – sono sia gli amministratori che il mondo ambientalista. Il sindaco di Noto Corrado Figura ha fatto presente di avere fatto ricorso al Tar, il deputato autonomista Giuseppe Compagnone ha annunciato un’interrogazione al governo e l’associazionismo legato alla promozione del territorio chiede un passo indietro.
«Siamo contrari alla modalità di sviluppo di questa tecnologia in un angolo di Sicilia che sta riuscendo a proporre un modello apprezzato anche all’estero». A parlare è Frankie Terranova. Il direttore della Strada del vino del Val di Noto è intervenuto oggi nel corso della trasmissione della trasmissione radiofonica Direttora d’Aria, in onda su Radio Fantastica e Sestarete. «Molti vengono a vivere da queste parti perché riconoscono una qualità della vita superiore – ha proseguito Terranova -. Un parco di dimensioni enormi come questo apporterebbe gravi danni al paesaggio e all’agricoltura. In quest’area ci sono produzioni di valore: dai limoni al vino eloro, passando per i pomodorini». Da Terranova arriva un appello che negli ultimi mesi, ossia da quando il tema dei fondi per le rinnovabili legati al Pnrr è diventato centrale nell’agenda politica, è stato più volte lanciato: sì agli impianti green, ma va rivista la loro localizzazione, evitando il più possibile di installare i pannelli nelle aree agricole. «Qualche anno fa c’erano dei fondi europei che puntavano all’ammodernamento delle aziende agricole con l’uso delle energie rinnovabili, la Regione nei bandi escludeva che si potessero installare sul suolo agricolo. Adesso invece – ha commentato il direttore della Strada del vino del Val di Noto – è la stessa Regione ad autorizzare questi mega parchi fotovoltaici».
Nel caso del progetto di Limes 20, si tratterebbe di una superficie di oltre 27ettari coperti da più di 49mila moduli fotovoltaici. Per quanto riguarda la scelta di presentare i progetti sui terreni agricoli, a offrire questa possibilità è la normativa. Anche se c’è da dire che qualcosa in più potrebbe essere fatto. «Penso sia importante che sindaci e cittadini si impegnino maggiormente per la tutela del territorio – ha detto Aurelio Angelini, presidente della commissione per le valutazioni ambientali della Regione ma anche direttore della fondazione Unesco – questo è ciò che è mancato negli anni precedenti. La partecipazione democratica è fondamentale nella definizione della pianificazione dei territori, ma ancora oggi è limitata. Amministratori e cittadini hanno la possibilità di fare osservazioni nelle fasi di presentazione dei progetti che vanno valutati». Angelini ha affermato che, a norma di legge, il progetto non interferisce con siti patrimonio Unesco e inoltre la Cts ha imposto una serie di condizioni per l’avvio dell’attività, tra cui l’impegno per la società proponente di attuare misure di compensazione ambientale a favore del territorio. Interventi che andranno stabiliti di concerto con il Comune di Noto e che non potranno essere di natura meramente economica.
Ciò di cui però la Sicilia ancora non si è dotata è il regolamento che individua le aree non idonee alla realizzazione dei parchi. In altre parole, una definizione di requisiti più ristretti per la localizzazione delle opere. La necessità di redigere il documento è stata fatta presente dalla stessa Cts guidata da Angelini, in sede di valutazione del piano energetico regionale. Quest’ultimo, però, attende di essere varato dalla primavera scorsa. «Noi abbiamo chiuso la nostra procedura a maggio. Adesso è stata redatta la proposta di delibera dall’assessorato e dovrebbe essere discussa in giunta – ha spiegato Angelini nel corso di Direttora d’Aria -. Ho saputo dall’assessora che c’è in corso un confronto tra giunta e uffici dell’assessorato su alcuni aspetti». In assenza di aree non idonee, gli unici paletti sono quelli previsti dalla normativa sui vincoli territoriali, quelli previsti nei piani paesaggistici, quelli legati all’aspetto idrogeologico o alla presenza di beni culturali o archeologici. Insomma, già adesso non sarebbe possibile installare i parchi fotovoltaici all’interno di un parco naturale.
«Il regolamento sulle aree non idonee però darebbe un contributo per mappare i terreni agricoli da salvaguardare – ha aggiunto Angelini -. Negli ultimi anni sono stati presentati circa cinquecento progetti, e sarebbe fondamentale far sì che le installazioni venissero indirizzate verso le aree a scarsa produttività». Il piano energetico che attende di essere varato prevede anche che ad avere la precedenza siano le aree contaminate, quelle industriali e le cave e discariche dismesse. Zone finora quasi sempre tralasciate dalle imprese del settore green. «A essere mancato finora è stato anche un input da parte di chi gestisce queste aree», ha concluso Angelini. Il riferimento va alla mancanza di una mappatura aggiornata delle cave dismesse e disponibili, ma anche di un’attivazione delle procedure per la messa a disposizione delle aree industriali gestite, per esempio, dalle ex Asi.