Formazione, chi specula sulle integrazioni?

Una vecchia notizia giudiziaria, ripresa nelle scorse ore dalla stampa, ha riacceso il dibattito sul settore della formazione professionale. Mentre la Procura regionale della Corte dei Conti ha citato in giudizio, nei mesi scorsi, ex assessori e dirigenti del settore, contestando un danno erariale da un milione e 200 mila euro per le integrazioni concesse fra il 2008 e il 2009, il dipartimento della Formazione ha fatto partire, due settimane fa, trentacinque atti stragiudiziali di messa in mora per altrettanti Enti. L’ennesima inchiesta giudiziaria scoppiata nel martoriato mondo della formazione professionale? Proviamo a capire cosa sta succedendo.

Noi partiamo da un presupposto amministrativo: le integrazioni concesse agli Enti formativi, da parte dell’amministrazione regionale dell’epoca, sono legittime. Vediamo perché.

L’integrazione al finanziamento decretata, come dicevamo, in favore degli Enti formativi che hanno operato fino al 2011, attraverso il Piano regionale dell’offerta formativa (Prof), è prevista dalla legge regionale e dal Contratto collettivo di lavoro della categoria. La concessione della stessa integrazione, autorizzata dai precedenti assessori regionali al ramo, è, dunque, legittima.

Le maggiori somme riconosciute agli Enti fondano il presupposto sulle norme regionali preesistenti. E poi le integrazioni al finanziamento hanno trovato copertura attraverso le cosiddette “economie di bilancio”. Risorse recuperate all’interno del complessivo finanziamento decretato sul Piano dell’offerta formativa di ciascun anno. Quindi non si capisce dove starebbe l’eventuale danno erariale.

Tale procedura è stata adottata dall’amministrazione dell’epoca, nel rispetto del quadro normativo del settore della formazione professionale. L’integrazione trova il suo fondamento – e la sua legittimità – nella legge regionale n. 24 del 6 marzo 1976. A questa legge sono succedute altre norme sull’argomento, quali la legge regionale n. 12 del 22 aprile 1987 (legge salva Enipmi – Ente nazionale per l’istruzione professionale nel Mezzogiorno), l’art. 16 comma 4 della legge regionale n. 27 del 15 maggio1991; l’art 2 comma 1 della legge regionale n. 25 del 1 settembre 1993; l’art. 2 della legge regionale n. 31 del 7 maggio 1996; l’art. 17 comma 2 della legge regionale n. 24 del 26/11/2000; l’art. 39 della legge regionale n. 23 del 23 dicembre 2002; la legge regionale n. 21 del 8 novembre 2007. Tutte quante tese a sancire un principio inequivocabile e non diversamente interpretabile: la garanzia della continuità lavorativa e il riconoscimento del trattamento economico e normativo previsto dal contratto collettivo di lavoro della categoria.

Tale principio viene sancito, in modo chiaro, nella legge regionale n. 25 del 1993, il cui precetto normativo è vincolante per l’Amministrazione regionale. Per gli Enti gestori tale vincolo era già stato determinato dalla contrattazione e dal Contratto collettivo di categoria, che è legge fra le parti. La norma ha prodotto, in capo alla Regione, vincoli sotto il profilo economico e non solo programmatori, richiamandola a una precisa responsabilità negli confronti degli stessi Enti. Come già precisato sopra, le integrazioni sono state autorizzate non con somme aggiuntive, prelevate da altri capitoli del bilancio regionale, ma con risorse reperite dalle economie di bilancio, così come previsto dall’art. 9 della legge regionale n. 21 dell’8 novembre 2007. Norma che riportiamo di seguito. “Le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge regionale 8 luglio 1977 n.47, e successive modifiche ed integrazioni, trovano applicazione per gli stanziamenti di bilancio finalizzati alla legge regionale 6 marzo 1976 n. 24 e successive modifiche ed integrazioni e possono, con decreto del Ragioniere Generale della Regione, su proposta dell’assessore regionale per il Lavoro, la Previdenza sociale, la Formazione Professionale e l’Emigrazione, essere destinati ad interventi finalizzati alla medesima legge e all’occupazione, sulla base della vigente legislazione regionale, ivi comprese le finalità del Fondo unico per il precariato”.

È stato sollevato un polverone inutile? Il dubbio è più che legittimo. Anche perché gli atti di messa in mora, firmati il 25 gennaio scorso dal capo del dipartimento regionale alla Formazione, Anna Rosa Corsello, citano Enti formativi che non hanno mai ricevuto alcuna integrazione al finanziamento! Un altro scivolone della dirigente generale del settore?

Proviamo a sviscerare, nella loro interezza, i passaggi di questa storia. E lo facciamo con il presidente di Forma Sicilia (associazione di ispirazione cattolica che annovera una larga parte degli Enti formativi) Paolo Genco (nella foto a destra): “La Regione ha rispettato le regole e le leggi nel riconoscere l’integrazione al finanziamento per gli anni in questione. Il combinato degli articoli 25 della legge regionale 1 settembre 1993 e 39 della legge regionale n. 23 del 23 dicembre 2002 dispone, infatti, che la Regione è tenuta ad assicurare la continuità retributiva e contributiva del personale in carico al 2007 degli enti formativi. Inoltre il decreto assessoriale n.115/Gab del 4 dicembre 2008 aveva già previsto l’integrazione in favore degli Enti finanziati all’interno del Piano regionale dell’offerta formativa per l’anno 2008. Infatti, solo dopo la verifica di congruità, effettuata dal Servizio rendicontazione e controllo dell’assessorato regionale al ramo, l’amministrazione regionale ha autorizzato il pagamento delle integrazioni richieste dagli enti formativi entro l’11 settembre 2008, per un importo complessivo di 7 milioni e ottocento mila euro. Le somme sono servite – sottolinea Genco – a garantire il diritto, in capo ai lavoratori, agli incrementi contrattuali previsti dal Contratto collettivo di lavoro della categoria a partire dal 2006”.

Il presidente di Forma Sicilia ha anche precisato che tali somme sono state regolarmente rendicontate dagli stessi Enti e validate dall’amministrazione regionale. E poi, se solo un qualsiasi Ente avesse omesso di adeguare i livelli economici ai dipendenti, che scaturiscono dai rinnovati adeguamenti contrattuali, sarebbe incorso nella revoca dell’accreditamento e, non ultimo, nella sospensione del Documento unico di regolarità contributiva (Durc).

La verità è che i fatti amministrativi, spesso, sono complessi. Prima di lasciarsi andare a giudizi sommari bisognerebbe studiarli con attenzione. È bene sottolineare che, a partire dal 2006, il Contratto collettivo di lavoro della categoria ha assunto il rango di diritto primario per effetto della modifica dell’art. 360 n. 3 del Codice di procedura civile, in attuazione della previsione contenuta nell’articolo 2 del Decreto legislativo 40 del 2 febbraio 2006.

Non contestiamo, ovviamente, l’operato della Corte dei Conti e nemmeno l’indagine volta ad accertare il danno erariale. La magistratura contabile ha fatto il proprio dovere decidendo, sulla scorta di riscontri oggettivi, cioè su quanto prodotto dall’amministrazione regionale.

Va ricordato che tutto è stato fatto nel rispetto della legge. Erano sbagliate le leggi regionali? Se è così, tali leggi avrebbero dovuto essere impugnate dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana. Ma ciò non è avvenuto. Ed allora dove sta l’inghippo? Vediamo di scoprirlo. E proviamo, soprattutto, a capire di chi sono le responsabilità di quanto sta avvenendo.

Ciò che non convince è l’operato del precedente Governo regionale che mal ha rappresentato, a nostro modesto avviso, ai magistrati contabili il quadro normativo all’interno del quale è stata concessa l’integrazione agli Enti formativi. Il richiamo non può che essere al famigerato trio delle meraviglie LAC (Lombardo, Albert, Centorrino) perché è durante il loro mandato che la Procura della Corte dei Conti ha avviato un fascicolo d’inchiesta a seguito di denuncia inoltrata da un Ente formativo.

L’ex dirigente generale, Ludovico Albert, non ha saputo – o forse non ha potuto – difendere il sistema formativo siciliano retto per quasi quarant’anni da un quadro normativo che ha garantito l’offerta formativa e i livelli occupazionali. Albert, convocato dai magistrati contabili, non ha fornito le dovute giustificazioni sul perché del riconoscimento dell’integrazione agli Enti formativi da parte dell’amministrazione regionale.

Del resto, il supertecnico pidiessino aveva ricevuto precise direttive su come riformare il settore dal Governo retto, all’epoca, da Raffaele Lombardo. Quali le indicazioni? Chiudere con il passato, ovvero con la legge 24 del 6 marzo 1976 e “privatizzare” la formazione professionale siciliana. E per farlo, anziché provare a modificare la legislazione regionale, abrogando la citata legge n. 24 del 1976 – facendola abrogare dal Parlamento siciliano – ha prodotto una montagna di provvedimenti amministrativi che hanno reso inapplicato il quadro normativo. E per completare l’opera ha messo a bando circa 2 milioni di ore formative per un importo di circa 900 milioni di euro per tre anni di attività. Risultato? Diversissime società di capitali hanno partecipato ai bandi, ottenendo l’assegnazione di una quota del finanziamento pubblico.

Quindi, per Albert difendere le integrazioni davanti al Consigliere istruttore della Corte dei Conti avrebbe dovuto significare difendere la legge regionale n. 24 el 1976. E se lo avesse fatto – e questo risalta con chiarezza – non avrebbe potuto mettere in piedi il progetto di privatizzazione del settore.

Più che di polverone forse sarebbe dunque più corretto parlare di scivolone? Sì, di qualche giornale che ha preso un abbaglio; della Corte dei Conti che sembra essere finita “fuori ruolo” e della dottoressa Corsello, che ha inviato semplici lettere per richiedere, a trentacinque Enti, la restituzione di somme, come se una lettera possa avere un potere superiore al decreto che aveva riconosciuto, agli Enti formativi interessati, le integrazioni. Noi invece diciamo basta con questa storia, peraltro architettata “male”.

La verità è che anche la giurisprudenza ha dato torto a chi ha montato questa farsa. Qualche settimana fa la Corte di Cassazione ha riconosciuto all’Ecap di Caltanissetta il diritto all’integrazione. Infatti, la Suprema Corte ha condannato la Regione siciliana a riconoscere, attraverso l’Ente nisseno, ai circa 20 lavoratori (che avevano ottenuto sentenza favorevole dal Giudice del lavoro), gli adeguamenti contrattuali a partire dal 2007. Uno dei tanti ricorsi avverso ordinanze di primo grado presentate dall’ex dirigente generale, Ludovico Albert, e poi persi. Una sconfitta, questa, dal sapore del danno erariale .

C’è stato un tentativo di difendere una privatizzazione portata avanti in violazione delle leggi regionali. Qualcuno ha cercato di fare sbandare la magistratura contabile. Adesso cosa accadrà? Il presidente della Regione, Rosario Crocetta, l’assessore al ramo, Nelli Scilabra e il dirigente generale, la dottoressa Corsello, cosa faranno?

 

Giuseppe Messina

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