Finale amaro quello dell'incontro tra i funzionari di via Cavour e i 23 lavoratori dell'azienda sequestrata nel 2017, che gestiva il supermercato Portobello di Carini, confiscato in primo grado. Sindacati: «Famiglie schiacciate tra due amministrazioni giudiziarie e un meccanismo che non si comprende dove si sia inceppato»
Fenice Store, protestano dipendenti senza stipendio da un anno Prefettura: «Qui nessuna richiesta per un nuovo imprenditore»
«Dopo un anno di difficoltà, spero che non arrivi la notizia della chiusura dell’attività, se no finiremo tutti in mezzo a una strada». C’è ancora speranza nelle parole di Angela Guerreri, una dei 23 dipendenti della Fenice Store srl, azienda sequestrata nel 2017 che gestiva il supermercato della Galleria Portobello di Carini (ex proprietà di Ferdico Giuseppe Snc confiscata in primo grado), che non percepiscono lo stipendio dall’8 dicembre del 2017. Una situazione divenuta ormai insostenibile e che è culminata questa mattina con un sit-in di protesta davanti ai cancelli della prefettura, in via Cavour. Un modo per manifestare soprattutto la richiesta che sta più a cuore ai lavoratori: in attesa che un nuovo soggetto imprenditoriale rilevi l’attività in modo da consentirgli di tornare a lavoro, far sì che si possano sbloccare almeno gli ammortizzatori sociali.
Ma il successivo incontro dei sindacati con i funzionari della prefettura si è concluso con un finale decisamente amaro. Negli uffici di via Cavour infatti non sembrerebbe essere pervenuta alcuna istanza per il subentro di un nuovo soggetto imprenditoriale. «Sapevamo di un’interlocuzione tra Agenzia Nazionale per i Beni sequestrati e confiscati e la prefettura di Palermo per tutti gli accertamenti necessari per la sua individuazione, tra i due che hanno presentato formale manifestazione di interesse, per il relativo subentro – commentano Monja Caiolo, segretario generale Filcams Cgil Palermo, e Mimma Calabrò, segretario generale Fisascat Cisl Palermo Trapani -. Abbiamo appreso, invece, che la prefettura non è stata investita di alcuna richiesta da parte dell’Agenzia Nazionale. Ciò vuol dire che l’iter che noi pensavamo essere quasi in dirittura d’arrivo in realtà non ha ancora compiuto tutti i passaggi necessari per il subentro di un nuovo soggetto imprenditoriale che possa ricollocare i 23 lavoratori, senza reddito da quasi un anno».
Un’ulteriore complicazione, quindi, che allungherebbe non di poco i tempi, con tutte le conseguenze a carico dei lavoratori, che rischiano ancor di più, a questo punto, di vedersi arrivare una procedura di licenziamento collettivo dopo un anno invano di sacrificio economico. «Faremo di tutto per avere un’interlocuzione diretta con l’Agenzia Nazionale per i Beni sequestrati e confiscati e attiveremo ogni azione di nostra competenza – affermano ancora Caiolo e Calabrò -, non solo per far luce su una vertenza unica nel suo genere, ma per tutelare con forza i diritti dei 23 lavoratori, schiacciati tra due amministrazioni giudiziarie e un meccanismo che non si comprende dove si sia inceppato».