Sono passati ventotto anni dalla morte del giornalista di Palazzolo Acreide nella via catanese oggi intitolata a lui. E, per la prima volta, insieme alla folla riunita sotto alla lapide c'è anche un rappresentante delle istituzioni: il reggente della procura etnea, Giovanni Salvi. Ma non è l'unica novità: nel giorno della commemorazione viene anche presentato un nuovo giornale, che recupera la memoria storica del mensile diretto da Fava e unisce giovani di tutta Italia
Fava, storica visita del procuratore capo Rinascono intanto I Siciliani. Ma Giovani
«Era doveroso essere presente». Il 5 gennaio del 2012 a Catania c’è aria di novità. Ventotto anni dopo la morte di Giuseppe Fava, il giornalista di Palazzolo Acreide ucciso dalla mafia, la sua commemorazione si trasforma in un doppio evento: l’omaggio a lui reso con queste parole dal procuratore capo etneo, Giovanni Salvi, e la presentazione del mensile I Siciliani Giovani. «Che è I Siciliani di Giuseppe Fava e al tempo stesso non lo è. Perché è dei giovani di oggi», spiega Riccardo Orioles, storico collaboratore del giornalista.
Alle 17, la solita folla è riunita davanti alla lapide che ricorda Pippo Fava: nella via che porta il suo nome, davanti al teatro Stabile, nel punto dove è stato raggiunto da cinque proiettili mentre attendeva la nipotina. Nessuno si aspetta la sorpresa. E invece, per la prima volta nella storia della città, un rappresentante delle istituzioni si unisce ai cittadini nel ricordo del giornalista. E’ Giovanni Salvi, il nuovo procuratore capo che viene da Roma. Lo straniero che in molti invocavano, per evitare ancora un reggente catanese «legato ai poteri forti della città», spiegavano diverse associazioni cittadine prima della nomina. Gli stessi poteri forti contro cui si dirigeva la penna di Fava. Il magistrato è arrivato presto alla lapide, si è mischiato tra la folla ed è andato via poco dopo. Giusto il tempo di pronunciare quelle poche parole, asciutte come sempre: «Era doveroso essere presente». In molti non hanno nemmeno fatto in tempo ad accorgersene, ma la notizia è subito circolata in Rete.
Appena il tempo di riprendersi dalla sorpresa e la giornata di ricordo è continuata al Centro Zo con la proiezione del film Un siciliano come noi di Vittorio Sindoni, organizzata dalla Fondazione Fava. L’attesa era però per l’incontro successivo: la presentazione del nuovo mensile I Siciliani Giovani. «Per ricordare Pippo Fava lavorando» è ancora una volta il motto dell’organismo che mette in rete diverse testate, non solo catanesi. Da Milano a Modica, 47 persone si sono spese in questo progetto. Che, per gli ideatori, recupera la memoria storica del giornale fondato da Fava, ma al tempo stesso non appartiene a quanti facevano parte di quell’esperienza. E che in parte, negli scorsi mesi, avevano avanzato qualche riserva su una eventuale rifondazione della testata.
I Siciliani Giovani, secondo Orioles, è invece dei ragazzi sotto i trent’anni che rappresentano la maggior parte degli autori degli articoli contenuti nel primo numero. E’ della catanese trapiantata a Milano Morgana Chittari. Così come di Norma Ferrera, da Roma. O dei ragazzi del giornale modicano Il Clandestino. E anche un po’ di CTzen, che ha contribuito con un articolo di Leandro Perrotta sull’abbandono dell’ex collegio dei Gesuiti di Catania. Nel primo numero ci sono i quartieri – da San Cristoforo a Librino – ma anche Mineo e l’Expo 2015 di Milano. Passando per gli approfondimenti su mafia e ‘ndrangheta e un archivio fotografico del ‘900. Tre i garanti dell’iniziativa: Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa e Giambattista Scidà, scomparso lo scorso novembre. «L’ultimo dei grandi antimafiosi catanesi – lo ricorda Orioles – Se ne va vincendo una battaglia: la civilizzazione della procura di Catania». Scidà, infatti, ex presidente del Tribunale dei minori etneo è stato tra i primi a battersi per l’esigenza di un procuratore capo non catanese. Un’eresia, fino all’arrivo di Salvi appunto.
Alle polemiche su cosa è I Siciliani Giovani e quanto ha de I Siciliani di Giuseppe Fava risponde anche Giovanni Caruso, altro collaboratore del giornalista, fotografo prima del Giornale del Sud – sotto la direzione Fava – e poi del mensile. «Non c’è niente di cui stupirsi – dice – Si tratta di un percorso che dura da quasi trent’anni ed è fatto di passaggi tra le diverse generazioni e tra diverse città. C’è solo da farsene una ragione». Sue sono le foto che fanno da sfondo all’incontro, in una mostra visibile fino a oggi. Pezzi di storia che Caruso è «contento di aver rubato al Giornale del Sud, il giorno prima che mi buttassero fuori – spiega – Così oggi posso raccontare ai giovani quella Catania dove la mafia dicevano non esistesse».
La strada è ancora lunga e i primi obiettivi sono già fissati. Migliorarsi, innanzitutto. «Il giornale ha due punti deboli e ve li dico io – spiega Orioles – L’inserto satirico, che non ci piace, e la copertina. Che è brutta, anche se l’ho fatta io». Forti dell’attenzione dedicata al primo numero – letto da seimila persone in 48 ore – la prossima scadenza è fissata per la fine di febbraio con un possibile cartaceo. E poi per fine anno o inizio 2013 con le edizioni per tablet e smartphone. Tanto lavoro. Perché «a me pare buffo commemorare Fava. Lui è vivo ed è tra noi. Temo anzi che a Catania finiremo per avere un monumento a lui intitolato – conclude Orioles – E’ stato più coraggioso degli altri, certo, ma non per questo questo va messo su un piedistallo. Lì ci si mettono i coglioni. E lui coglione non lo era affatto».