Farmacia, comincia la requisitoria del pm Chiesta l’archiviazione per omicidio colposo

«È incontestabile la diffusione di sostanze dalla terra sotto al pavimento del dipartimento, con una diffusa e condivisa valutazione di pericolosità tanto da spingere tutti, compresi gli imputati, ad agire con procedure di urgenza e non ordinarie». Ma non abbastanza efficaci e tardive. Si apre così la requisitoria dell’accusa al processo che ha per protagonisti i laboratori del dipartimento di Farmacia dell’università di Catania, ribattezzata la facoltà dei veleni. Un procedimento che vede accusati otto ex vertici d’ateneo e del dipartimento, dopo la morte dell’allora rettore Ferdinando Latteri. Per la richiesta di condanne da parte del nuovo pubblico ministero Giuseppe Sturiale bisognerà aspettare gennaio, ma intanto gli imputati tirano un respiro di sollievo. Non solo per l’avvenuta prescrizione di metà delle accuse – restano in piedi solo disastro ambientale e falso -, ma soprattutto perché la Procura etnea ha chiesto l’archiviazione per l’accusa di omicidio colposo, rivolta agli stessi ex docenti e funzionari e che avrebbe dovuto dare vita ad un processo diverso. Sebbene, nella stessa richiesta, sia stata sottolineata la necessità di attendere gli eventuali sviluppi del processo in corso.

Mentre le parti civili – soprattutto parenti delle presunte vittime dei vapori nocivi respirati in facoltà – studiano una contromossa, le difese incassano la buona notizia. Amplificata dalla direzione che il procedimento attuale sembra aver preso da qualche mese a questa parte e, secondo alcuni, provata dalla prima parte della requisitoria di oggi del pm Sturiale. «Va a finire che la colpa è solo di Latteri, che ormai è morto», commentano dal pubblico in aula. Assenti gli imputati, tranne Lucio Mannino, dirigente dell’ufficio Tecnico dell’Ateneo, e Franco Vittorio, allora direttore del dipartimento di Scienze farmaceutiche e a capo della commissione sicurezza.

«Incontestabile è anche la natura irritante o tossica delle sostanze. Lo dice chi a Farmacia ci lavorava, ma lo dicono gli stessi imputati in atti pubblici – continua il pm  – Così come incontestabile è la connessione diretta tra i malesseri e lo stato fatiscente delle tubature e del sistema fognario del dipartimento». Sturiale divide la sua requisitoria in tre lunghi capitoli, che corrispondono alle prove a carico degli imputati. Innanzitutto, i documenti: «In gran parte atti pubblici, una conferma del fatto che i fenomeni siano stati oggetto di attenzione degli imputati, sebbene poi dagli stessi sminuiti in aula». La parte conclusa oggi e a cui seguirà l’analisi delle testimonianze e dei contributi scientifici dei periti «che fotografano però una situazione posteriore agli interventi sul terreno e sulle tubature (da parte degli imputati, ndr)». Con una nota che il pm ci tiene a sottolineare: «La difformità tra le dichiarazioni degli imputati e di quanti sono ancora interni a Unict rispetto a chi invece non ne fa più parte».

Sebbene gli anni indagati dalla procura etnea siano quelli tra il 2004 e il 2007, Sturiale comincia la sua cronologia dal 1996. Quando l’allora rettore Enrico Rizzarelli invia una lettera al dipartimento di Farmacia a proposito del «lavaggio non a norma dei contenitori dei rifiuti da smaltire, invitando i presidi a seguire le regole», spiega il pm. Un richiamo reiterato l’anno dopo e che fissa a quasi vent’anni fa la conoscenza del problema all’interno dell’ateneo. Più recentemente, nel 2000, è un docente a descrivere in una nota inviata ad alcuni imputati «i vapori di acetone che risalivano dagli scarichi». Nello stesso anno, una lettera dell’imputato e allora direttore del dipartimento Giovanni Puglisi invita il personale a non sversare le sostanze nei lavandini e nei tombini di scarico. Parlando di «molecole sconosciute e che potrebbero provenire dall’inadeguatezza strutturale dell’edificio o dallo scarico dei piani superiori».

Solo alcuni degli esempi di diversi documenti prodotti in questi anni dagli imputati o indirizzati a loro stessi. Note che, secondo il pm, evidenziano «la loro superficialità, perché avrebbero dovuto avvertire i lavoratori e sospendere l’attività» all’interno della facoltà. Decisione presa qualche anno dopo, ma «se già dal 2000 queste persone si fossero attivate per capire le cause del problema, forse diverse persone non avrebbero sofferto, forse non sarebbero morte – dice Sturiale nella sua requisitoria – Non lo sapremo mai, ma sappiamo che la situazione è continuata così per anni».


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Dopo la morte di un giudice della corte e il trasferimento del pm titolare del caso, arriva quasi alla fine il processo che ha per protagonista la cosiddetta facoltà dei veleni di Catania. «Se già dal 2000 gli imputati si fossero attivati per capire le cause del problema, forse diverse persone non avrebbero sofferto», argomenta il magistrato Giuseppe Sturiale. Ma mentre per la richiesta di condanne si dovrà attendere gennaio, arriva un colpo di scena: la richiesta di archiviazione per i casi delle morte sospette all'interno del dipartimento che avrebbe dovuto dare vita a un nuovo procedimento

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