La Sicilia è la quarta regione italiana per evasione fiscale. Questo l’impietoso dato che emerge dal rapporto del centro studi e ricerche Itinerari previdenziali, che ha dedicato un apposito studio alla regionalizzazione del bilancio previdenziale italiano. Solo Calabria, Campania e Puglia riescono a fare peggio in una classifica dominata dalle regioni del Sud. Un dato quindi che dovrebbe fare riflettere, estrinsecato nella sua complessità, su un Meridione che ancora arranca e fatica a tenere il passo del Nord-Italia, visto che l’evasione fiscale resta un forte campanello d’allarme riguardo alle condizioni di un territorio, sotto molteplici aspetti.
Secondo le stime, nel solo 2020, in Sicilia sarebbero stati evasi 6.586 milioni di euro, provenienti per larga parte da dichiarazioni dei redditi sgonfiate, il 6,6 per cento del totale dei dichiaranti e dal lavoro in nero, che resta sempre una prassi più che abusata, visto che riguarderebbe il 6,6 per cento dei lavoratori. Eppure le imposte evase dalla Lombardia risultano essere paradossalmente più del doppio di quelle siciliane, con la regione del Nord che evade nel 2020 ben 14.665 milioni di euro, quasi una mini manovra economica del governo. Eppure, tolti i dati che riguardano le province autonome, è la regione che evade di meno, leggendo con attenzione i numeri.
In Lombardia, infatti, il lavoro sommerso si aggira attorno al tre per cento del totale, mentre le sotto dichiarazioni raggiungono il quattro per cento. Il resto lo fa la qualità degli stipendi, che in Lombardia sono ben più alti di quelli siciliani e di conseguenza, maggiori sono i ricavi, maggiori sono le cifre da pagare allo Stato. In soldoni, gli evasori lombardi sono molti di meno di quelli siciliani, che tuttavia evadono cifre meno consistenti. E questo è confermato dalla stima del gettito tributario e contributivo evaso nel 2020: in Lombardia ogni cento euro di gettito incassato, si perdono 9,5 euro per via dell’evasione. In Sicilia, sempre su cento euro, ne vanno in fumo 19.
«La correlazione è, quindi, più che dimostrata e la carenza di contribuzioni e versamenti fiscali non è dovuta solo a povertà o ritardato sviluppo – si legge nel rapporto – ma a una diffusa pratica di lavoro sommerso e attività illegali che coinvolgono una parte importante della popolazione e dell’economia». Insomma, se nel quadro che ne tracciano i numeri l’Italia appare come un Paese per lo più immobile, lo sviluppo della Sicilia e di tutto il Sud, subisce un vero e proprio blocco dello sviluppo da parte di criminalità e cattive gestioni. «Mancano infrastrutture, poli produttivi e pure per il turismo ci sono pochissime strutture alberghiere con almeno cento camere indispensabili per meeting, congressi ed eventi il che fa perdere importanti flussi turistici a favore di Malta, Grecia, Spagna, Portogallo, Francia, Croazia e Slovenia – prosegue lo studio – Tuttavia, poiché Istat individua nel Sud la gran parte delle famiglie povere e altissimi tassi di disoccupazione, è utile verificare se i consumi complessivi della popolazione di queste regioni confermano questa ipotesi.
Un dato, quello relativo al Pil che, se nel resto d’Italia ha dato pur lievi segni di ripresa o quanto meno è rimasto sui suoi livelli, al Sud negli ultimi sei anni è addirittura sceso. «Poiché gli standard di vita e di consumi al Sud non sono da terzo mondo (basta andarci per vedere la situazione) – conclude il rapporto – è ovvio che per consumare più di quanto si produce i soldi da qualche parte devono arrivare e certamente vengono dall’elevato sommerso negli acquisti, nelle produzioni agricole e industriali e nel turismo; di questo dovrebbe tener conto l’Istat quando calcola i livelli di povertà assoluta e relativa». Insomma poveri sì, ma meno di quanto non possa sembrare.
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