Lo scienziato catanese era ancora in vita dopo la misteriosa scomparsa avvenuta nel 1938. Grazie a una foto e ai racconti di un testimone, gli inquirenti romani hanno stabilito che si trovava nell'America del Sud nel periodo tra il 1955 e il 1959 e si faceva chiamare Bini. Il fascicolo verrà archiviato, impossibile ricostruire gli spostamenti successivi
Ettore Majorana vivo dopo la sua sparizione Era in Venezuela, lo ha accertato la procura di Roma
Ettore Majorana, lo scienziato di origini catanesi che ha dato un contributo fondamentale alla fisica moderna, era vivo ben oltre la data dalla quale non si sono più avute ufficialmente sue notizie. Lo scienziato a capo del gruppo dei ragazzi di via Panisperna – che portarono alla realizzazione del primo reattore nucleare e della bomba atomica – è scomparso misteriosamente il 25 marzo 1938, mentre si trovava a bordo di un piroscafo diretto a Palermo. Subito dopo la sparizione, alla tesi del suicidio si sono contrapposte numerose altre ipotesi: dall’allontanamento volontario per collaborare con i nazisti per poi fuggire in Argentina, alla clausura in monastero (teoria riportata da Leonardo Sciascia ne La scoparsa di Majorana). La procura di Roma ha stabilito che nel periodo tra il 1955 e il 1959 il fisico si trovava sì nell’America del Sud, ma a Valencia, in Venezuela.
La procura romana ha aperto un fascicolo nel 2011 e oggi ha chiesto l’archiviazione. A permettere di accertare il dato temporale è una foto scattata nel 1955 e analizzata dai Ris. Nell’immagine, sostiene il procuratore Pierfilippo Laviani, titolare dell’indagine, è ritratto lo scienziato che si faceva chiamare con il cognome Bini. Assieme a lui, un emigrato di origini italiane, Francesco Favani. «I risultati della comparazione – scrive Laviani nella richiesta di archiviazione – hanno portato alla perfetta sovrapponibilità» dei particolari anatomici di Majorana (fronte, naso zigomi, mento ed orecchio) con quelle del padre.
A confermare la tesi contribuisce una cartolina che Quirino Majorana – zio di Ettore, anche lui fisico di fama mondiale – scrisse nel 1920 trovata da Fasani nella macchina di Bini-Majorana. Un fatto, per gli inquirenti, che conferma la «vera identità di costui come Ettore Majorana, stante il rapporto di parentela con Quirino, la medesima attività di docenti di fisica e il frequente rapporto epistolare già intrattenuto tra gli stessi, avente spesso contenuto scientifico».
Le indagini della procura si fermano qui, impossibile risalire ai successivi spostamenti dello scienziato. Laviani sottolinea «l’inerzia degli organi diplomatici venezuelani» sulle specifiche richieste di notizie su altri dati, come il possesso di una patente. Ad ogni modo, la testimonianza di Francesco Fasani, morto recentemente, appare fondata anche perché l’uomo – «pur privo di conoscenze di natura psichiatrica» – fornisce «anche sotto il profilo caratteriale e comportamentale una ulteriore prova della identità tra il Bini ed Ettore Majorana».