Era il 21 gennaio 2017: la magistratura sequestrava uno degli storici locali del capoluogo etneo. Un locale con una fama innegabile, anche legata a fatti di cronaca. Adesso il tribunale di Prevenzione mette un primo punto alla vicenda di Cosimo Tudisco
Etna bar, firmato decreto di confisca di primo grado Dal 2017 sigilli a patrimonio da oltre 500mila euro
Confisca di primo grado per oltre 500mila euro. La sezione Misure di prevenzione del tribunale di Catania ha stabilito che il patrimonio ritenuto riconducibile a Cosimo Tudisco debba rimanere nelle mani nello Stato. Era il 21 gennaio 2017 e la magistratura metteva i sigilli allo storico Etna bar di via Galermo 338 che, secondo l’accusa, era nelle disponibilità di Tudisco, classe 1974, attualmente detenuto in carcere e presunto affiliato del clan Cappello. La notizia aveva fatto scalpore per tanti motivi: oltre che l’innegabile fama dell’esercizio commerciale (spesso teatro di fatti di cronaca, anche legati alla mafia) anche per via del fondatore della società poi sequestrata. Vale a dire l’ex consigliere comunale Francesco Petrina, non coinvolto nell’inchiesta, che nel 2008 a quell’indirizzo aveva installato il suo comitato elettorale.
Il tribunale di Prevenzione, adesso, mette un primo punto a un’indagine patrimoniale partita nel 2016 e condotta – insieme – da polizia anticrimine e squadra mobile di Catania. A fare partire gli accertamenti, come sempre in questi casi, la sproporzione tra i redditi dichiarati da Tudisco e i beni acquisiti nel tempo, realizzati con investimenti anche ingenti. Dietro al bar di San Giovanni Galermo c’era la società World games srl, che nei mesi successivi è stata liquidata, così come alcuni dei beni aziendali. Dal momento in cui la gestione dell’attività è passata nelle mani dello Stato, infatti, sono emerse una lunga serie di irregolarità (verande abusive, contributi mai versati) che hanno portato lo storico locale all’inesorabile chiusura.
Tra gli altri beni adesso confiscati ci sono conti correnti e depositi bancari intestati o riconducibili a Tudisco, oltre che due fabbricati a Catania intestati ad altri ma sempre riferibili a lui, secondo i giudici. Cosimo Tudisco, conosciuto nell’ambiente della malavita catanese con l’appellativo di Cocimeddu o arancino, sarebbe stato coinvolto – sin da minorenne – in numerosi crimini. A suo carico, scrive la questura, ci sono ben nove condanne definitive: furto aggravato, falso, ricettazione, oltraggio a pubblico ufficiale, due rapine pluriaggravate, droga e inosservanza degli obblighi di sorvegliato speciale.
Negli ultimi dieci anni, sostengono le forze dell’ordine, la sua carriera avrebbe subito una escalation. Tanto da arrivare a ipotizzare la sua partecipazione esterna al clan Cappello-Bonaccorsi. «I numerosi elementi raccolti – conclude la nota della questura etnea – hanno ampiamente delineato la figura di un soggetto socialmente pericoloso, dedito a traffici illeciti il quale, operando all’ombra dell’associazione mafiosa, ha consapevolmente agito in favore della stessa, con ciò procurando illeciti arricchimenti per quest’ultima e per se stesso».