Eremo di Sant’Anna, persi tre milioni Tra nomine, vendite e qualche omissione

Quasi tre milioni di euro rimandati al mittente, due vescovi e un eremo del Settecento a rischio rovina definitiva. Tutt’attorno, un mare di opportunità – perlopiù lavorative ed economiche – inspiegabilmente sfumate. Della perdita del finanziamento europeo da parte della diocesi di Acireale per il restauro dell’eremo di Sant’Anna si è occupato, giovedì, il quotidiano La Sicilia con un articolo in cui si riportavano le dichiarazioni del vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, secondo il quale all’origine della rinuncia ai 2,8 milioni di euro provenienti da fondi europei vi è stato «il rischio di un clamoroso tracollo finanziario». Dovuto al fatto che, «carte alla mano, c’era solo un progetto di massima», aggiungeva. Tuttavia, ripercorrendo i passaggi che hanno portato alla decisione, sono diversi i punti in cui le parole di Raspanti stridono con la concretezza degli atti e dei documenti che negli ultimi tre anni hanno accompagnato l’iter del progetto di restauro.

Tutto comincia nel febbraio 2011, quando il vescovo della diocesi di Acireale era monsignor Pio Vittorio Vigo. Erano gli ultimi quattro mesi del suo vescovato – Raspanti viene nominato il 26 luglio e si insedia il 1 ottobre – ma, con una determina, Vigo dispone che l’Opera diocesana assistenza religiosa (Odar), tramite la Tecnocult srl (di cui l’Odar è socio unico), e la parrocchia San Filippo di Aci San Filippo – località entro cui ricade il sito – costituiscano una società con l’obiettivo di riqualificare l’eremo di Sant’Anna creando un centro di accoglienza per religiosi e laici, dove organizzare anche eventi di natura culturale e ricreativa. Così facendo, inoltre, si sarebbe fatta anche l’ultima volontà del monaco eremita che, nel 2001, aveva donato la proprietà dell’eremo alla diocesi esprimendo il desiderio che la struttura potesse continuare a rimanere fruibile dalla collettività.

Così nasce L’Eremo srl, per il 90 per cento appartenente a Tecnocult – e quindi all’Odar – e per la restante parte alla parrocchia di Aci San Filippo. Il prete di quest’ultima, don Alessandro Di Stefano, viene nominato presidente del consiglio di amministrazione. L’occasione di mettersi in gioco per la neonata società si presenta subito: sempre nel febbraio 2011, sulla gazzetta ufficiale della Regione siciliana viene pubblicato un bando per la riqualificazione dell’offerta ricettiva locale e delle correlate attività di completamento attraverso l’attivazione di un regime di aiuti. La decisione di partecipare a quel bando viene presa il 12 aprile con una delibera del cda dell’Eremo Srl votata all’unanimità. Ma per essere in regola con i requisiti serve stipulare con la diocesi un contratto di comodato d’uso del sito. Ratificato l’1 giugno.

Stabilito il da farsi, l’equipe di tecnici – alcuni dei quali collaboratori ventennali della diocesi – inizia la stesura del progetto. Arrivano i pareri favorevoli delle autorità, tra cui quello della Soprintendenza, dei vigili del fuoco, dell’ufficio Urbanistica di Aci Catena, dell’ufficiale sanitario. Arriva anche l’autorizzazione «per l’esecuzione dei lavori». Dettaglio, questo, che contraddice quanto dichiarato da Raspanti, poiché il progetto non era quindi di massima ma immediatamente avviabile. Due anni dopo, nel settembre 2013, quando vescovo di Acireale è già Raspanti, l’assessorato regionale alle Attività produttive pubblica il decreto con la graduatoria dei progetti partecipanti al bando: alla riqualificazione dell’eremo viene riconosciuto il cinquantesimo posto utile, con un finanziamento di due milioni e 800mila euro. Somma accettata ufficialmente nove giorni dopo con una riunione.

Tutto perfetto, ma ancora per poco. Almeno fino alla convocazione di un cda dell’Odar la mattina della vigilia di Ferragosto. A presentarsi al tavolo sono in parte figure nuove: Raspanti, infatti, una settimana prima aveva provveduto a nominare un nuovo consiglio di amministrazione della società che, a conti fatti, controllava direttamente l’Eremo srl. E fu durante quell’incontro che venne presentata la decisione di voler vendere l’intero pacchetto di quote Tecnocult (il 90 per cento dell’Eremo Srl) a un privato; il tutto al prezzo del valore nominale delle stesse, ovvero appena 9.900 euro. A subentrare alla Tecnocult, entrando in possesso di fatto del futuro dell’Eremo Srl, sarebbe stato l’amministratore unico della Dimsi investimenti e turismo s.r.l., Salvatore Zappalà, noto operatore turistico siciliano.

Quattro giorni dopo la palla passa all’assemblea della Tecnocult, chiamata a prendere atto della decisione presa dal proprio socio unico. Nella riunione, tuttavia, non mancano i colpi di scena: la scoperta della decisione di vendere le quote al prezzo del valore nominale – senza così considerare il valore del finanziamento europeo già accettato, il progetto esecutivo e, non ultimo, il comodato d’uso dell’eremo – stupisce i presenti, che però poco dopo hanno modo di strabuzzare ancor più gli occhi quando viene comunicato che in realtà il comodato d’uso è stato rescisso lo stesso giorno in cui si è svolto il cda Odar, la vigilia di Ferragosto. «Revocare quell’accordo – sottolinea Daniele Raneri, l’architetto che ha lavorato al progetto di riqualificazione – significava far decadere i requisiti per beneficiare del finanziamento. Si è trattata di una scelta davvero inspiegabile, che spiace enormemente per più motivi. Abbiamo lavorato sodo – aggiunge l’architetto – affinché l’eremo ritornasse in vita, è un sito di sicuro valore che così rischia di essere abbandonato per sempre. Ma soprattutto non comprendiamo come si sia potuto rinunciare all’occasione pressoché unica di creare una piccola economia con relativo indotto: riqualificare l’eremo avrebbe significato creare lavoro per numerose famiglie».

In ogni caso la vendita alla fine non è stata portata a termine: «La mancata vendita è dipesa anche dalla venuta meno del comodato d’uso, e dal fatto che la Diocesi improvvisamente non è stata più interessata», spiega l’imprenditore Salvo Zappalà. Che avrebbe acquistato una scatola vuota, senza più la possibilità di beneficiare del finanziamento. Eppure la storia non è ancora conclusa perché, il 12 settembre scorso, il presidente dell’ormai moribonda Eremo Srl, don Alessandro Di Stefano, risponde a una prima richiesta di saldo delle consulenze professionali prestate  per il progetto di riqualificazione. E scrive che, considerata l’indisponibilità dell’immobile e la volontà di non dare esecuzione all’intervento edilizio, non è possibile «dare esecuzione alla richiesta di pagamento».


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I fondi europei, secondo il vescovo di Acireale Antonino Raspanti, sono stati persi perché «c'era solo un progetto di massima». Ma, in realtà, l'iter per il restauro era molto più avanti, tanto da aver ottenuto il parere favorevole di enti come la Soprintendenza. «Non comprendiamo come si sia potuto rinunciare all'occasione pressoché unica di creare una piccola economia con relativo indotto», afferma l'architetto responsabile del piano

I fondi europei, secondo il vescovo di Acireale Antonino Raspanti, sono stati persi perché «c'era solo un progetto di massima». Ma, in realtà, l'iter per il restauro era molto più avanti, tanto da aver ottenuto il parere favorevole di enti come la Soprintendenza. «Non comprendiamo come si sia potuto rinunciare all'occasione pressoché unica di creare una piccola economia con relativo indotto», afferma l'architetto responsabile del piano

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