Enzo Romeo avrebbe voluto comprare oro dal Ghana Da rivendere in Libano con l’aiuto dei servizi segreti

Non solo slot, farmaci e alloggi popolari. Anche oro da spostare da un continente all’altro, sfruttando società straniere, presunti uomini dei servizi segreti e banche compiacenti. Tra gli affari su cui aveva posto lo sguardo Enzo Romeo, il nipote di Nitto Santapaola più avvezzo al business che alle armi, ci sarebbe stata anche un’operazione di trading del metallo prezioso dal valore di mezzo miliardo di euro. A parlarne nei mesi scorsi ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Messina è stato Biagio Grasso, l’imprenditore passato dall’essere il braccio destro di Romeo – coinvolto nell’inchiesta Beta 2, secondo filone di un lavoro investigativo più ampio che già l’anno scorso ha portato a una serie di arresti per i quali nelle settimane scorse c’è stata la prima sentenza – a collaboratore di giustizia.

Grasso racconta del piano durante un interrogatorio di febbraio scorso. Nella sua ricostruzione, Romeo non avrebbe avuto un ruolo di primo piano, ma sarebbe rimasto dietro le quinte, come soggetto a cui si sarebbe dovuto fare riferimento al momento della spartizione del denaro ricavato. Pretesa che Romeo avrebbe giustificato anche con il debito precedentemente contratto con lui da Michele Spina, il nipote del re dei supermercati Sebastiano Scuto, che come lo zio – ritenuto dai magistrati di Catania legato al clan dei Laudani – è accusato di associazione mafiosa. Per Spina, però, i presunti collegamenti sarebbero con i Santapaola, nella fattispecie il gruppo che negli anni è riuscito a ritagliarsi il proprio spazio a Messina.

I fatti sarebbero avvenuti tra 2015 e 2016. Stando ai piani del gruppo, l’oro andava comprato in Ghana per poi rivenderlo in Libano. Il paese mediorientale non era stato scelto a caso, a indicarlo sono alcuni protagonisti di questa storia. In quanto a muoversi per mettere in atto l’operazione di trading non sarebbero stati solo Spina e lo stesso Grasso, ma anche altre persone che non compaiono nella lista degli indagati. «Il contatto con il Ghana era
Spina, almeno in un primo momento; successivamente, una volta che i suoi fornitori si
rivelarono inaffidabili, individuai altri canali
», dichiara Grasso ai magistrati. Nell’intento del gruppo, l’affare si sarebbe dovuto muovere su due binari paralleli. 

Il primo avrebbe sfruttato una presunta società registrata negli Emirati Arabi. «Attraverso una società denominata Private Lounge di Dubai, di cui ero general manager per quella operazione, facente riferimento a un tale Mohammed Kamal, di nazionalità libanese, naturalizzato Emirati Arabi», spiega il collaboratore di giustizia. Per poi aggiungere: «Io avevo il ruolo di facilitatore con i ghanesi e avrei ottenuto il dieci per cento del guadagno». Il secondo canale avrebbe invece tirato in ballo due figure che Grasso indica come esponenti «appartenenti ai servizi segreti», uno dei quali sarebbe stato in passato compagno di scuola di Spina. I due, che sarebbero stati legati da un rapporto gerarchico, avrebbero mostrato interesse nell’affare legato all’oro africano, suggerendo di puntare sul Medio Oriente. «Mi dissero che avevano contatti in Libano – prosegue Grasso – e che per immettere l’oro sul mercato libanese avrebbero potuto mettere a disposizione una banca – di cui il collaboratore fa il nome – o una società a essa collegata».

I due presunti agenti dei servizi segreti sarebbero stati coadiuvati da un legale catanese. Nel suo studio si sarebbe tenuta una riunione per discutere i dettagli dell’accordo e ragionare sulla ripartizione dei possibili guadagni. «Mi mise in contatto con un certo avvocato – spiega Grasso -. Secondo l’accordo proposto il 50 per cento sarebbe rimasto alla banca, mentre il restante sarebbe stato diviso in tre quote. Una quota a me, una a Spina e una a loro». Come detto, tra i soldi per finanziare l’operazione non ci sarebbero stati quelli di Romeo. Il nipote di Santapaola si sarebbe però fatto presente al momento dei dividendi. «Nonostante non abbia investito denaro è però interessato alla ripartizione degli utili, per i quali avremmo fatto fronte con le quote mie e di Spina», specifica. L’intero piano, tuttavia, sarebbe saltato per il mancato accordo sulle percentuali. «Mi sembrava eccessiva quella chiesta dalla banca».

Contattato da MeridioNews, l’avvocato esclude di essere mai stato coinvolto in trattative di questa natura, pur non negando di avere conosciuto sia Spina che Grasso. «Li conosco ma non in questa veste, figuriamoci se mi metto a commerciare oro dal Ghana – commenta -. Questo tipo di attività non si mette su così facilmente, ci vogliono autorizzazioni. E mi lasci dire che dubito fortemente avessero capacità di questo tipo. Ma poi – continua – figuriamoci se uno va in Ghana, prende dell’oro e se ne va. Là ci sono i tagliatori di teste ancora oggi». Il legale conferma di avere incontrato i due nel proprio studio «ma per vicende di tutt’altro tipo di cui non parlo per questioni di riservatezza professionale», e chiarisce di non essere mai stato chiamato da nessun magistrato. «Sarei pronto a chiarire ogni aspetto. Li ho conosciuti (Grasso e Spina, ndr), è vero, ma da subito ho deciso di non volerci avere a che fare».


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