Eni, le strane morti dei dipendenti di ritorno dall’Iraq «Prima di partire erano sani». Indaga la magistratura

Due trasfertisti Eni, morti a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro al rientro dall’Iraq, apparentemente stroncati da arresti cardiaci. Poi la notizia del decesso di un operatore pakistano, anche lui impiegato nello stesso campo, e infine almeno altri due lavoratori gelesi, sempre impegnati nella stessa zona, che hanno riportato conseguenze ancora tutte da valutare. Le morti di Gianfranco Di Natale e Filippo Russello, 45 anni il primo e 36 anni il secondo, entrambi impegnati per Eni nel Life Support Camp Zfod Zubair di Al-Bashra, dopo che la multinazionale ha optato per la svolta green in città, sta assumendo sempre di più i contorni del giallo.

Nel caso di Di Natale, gelese che risiedeva stabilmente a Vittoria con la famiglia, i pm della procura di Palermo hanno immediatamente avviato un’indagine. L’uomo prima di morire era stato trasferito all’Ismett del capoluogo siciliano. Adesso il corpo verrà sottoposto ad autopsia e saranno i periti a verificare le cause del decesso. Stessa sorte anche per Russello. A sua volta dipendente Eni, impegnato nello stesso campo in Iraq, è deceduto sul colpo, mentre era in sella alla sua bicicletta lungo la Gela-Licata. Russello era ritornato dal Medio Oriente solo da qualche giorno. I pm della procura di Gela, coordinati dal procuratore capo Fernando Asaro, hanno deciso di richiedere l’autopsia, dopo la denuncia presentata dai familiari.

Il sospetto è che quanto accadutogli possa avere radici nell’attività in Medio Oriente. Russello, ormai da tempo, lavorava in Iraq. Era collega di altri operatori della multinazionale, che negli ultimi tempi hanno dovuto sopportare gravi patologie o, addirittura, la sua stessa sorte. «Indaghiamo contro ignoti per capire se ci sono responsabilità di terzi», ha dichiarato il procuratore Asaro. L’esame autoptico è stato fissato per domani, forse non in città. 

Al momento non si esclude nulla, a cominciare proprio dal possibile collegamento tra la morte di Russello e quella di Gianfranco Di Natale. Sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti anche altri due casi ritenuti sospetti. Almeno altri due gelesi, sempre dipendenti Eni in trasferta in Medio Oriente, oggi si trovano a convivere con i postumi di gravi patologie. 

Uno di loro, negli scorsi mesi, ha dovuto subire l’asportazione di una parte della calotta cranica, dopo essere stato colpito da un aneurisma. Le visite effettuate all’ospedale San Raffaele di Milano, obbligatorie prima della partenza per l’Iraq, non avevano dato alcun riscontro negativo. Qualche tempo dopo, però, i primi sintomi al collo e poi l’aneurisma, con il trasferimento in un centro medico a Dubai, negli Emirati Arabi, l’intervento chirurgico e il ritorno in Italia. Un altro collega, invece, sarebbe stato colpito da una trombosi alla gamba. Negli scorsi giorni la polizia avrebbe sentito uno di loro, attualmente sottoposto a una lunga e difficile riabilitazione.

Un caso che sembrerebbe allargarsi a macchia d’olio e che getterebbe ombre sul campo in Iraq di Eni. La vicenda non avrebbe lasciato indifferenti neanche i dipendenti di Eni, presenti nella zona. Una mail sarebbe circolata tra diversi operatori, nel tentativo di cercare una spiegazione alle notizie degli strani malori che hanno colpito i colleghi. Pare, inoltre, che tra i lavoratori fosse diffusa la voce di eventuali contaminazioni con sostanze pericolose. Un’ipotesi, che allo stato, non trova alcuna conferma.

Le famiglie dei due deceduti però hanno deciso di vederci chiaro: «Voglio conoscere la verità, sapere perché mio marito è morto – dice Rosaria Greco, moglie di Russello, a MeridioNews – Capire com’è possibile che un uomo di 36 anni, sano e pieno di vita, che faceva palestra, ballo, ciclismo, visitato da tanti medici prima di ottenere il nulla osta per andare a lavorare all’estero possa esser deceduto in un istante».

I dubbi, però, attanagliano anche le tante famiglie che hanno attualmente i propri cari in trasferta. «Mio marito è ancora lì – racconta Rosaria, moglie di uno dei tanti operai Eni gelesi che hanno scelto l’Iraq – Ritornerà a fine mese, ma da quando abbiamo appreso la notizia viviamo nel terrore di sentire squillare il telefono». «Ci auguriamo che venga fatta chiarezza subito su quanto accaduto – racconta Giovanni, una vita in trasferta in giro per il mondo – Sono ormai 13 anni con le valigie in mano, il nostro mondo sembra essere una stanza da quanto è piccolo. Non so cosa possa essere accaduto ai colleghi, spero che presto venga fuori la verità».


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