Elsa Fornero, vatinni a casa (vattene a casa)

Le piccole medie imprese italiane ‘bocciano’ senza appello la riforma del lavoro varata dal ministro Elsa Fornero. Il giudizio lapidario emerge da un sondaggio ISPO/Confartigianato realizzato su un campione di imprenditori artigiani, tra l’8 e il 12 marzo, per ‘misurare’ gli effetti delle nuove norme sul mercato del lavoro delle piccole imprese.

Per il 65% degli intervistati, pari a 947.831 aziende, la riforma ha avuto effetti negativi sull’occupazione e sulla crescita economica del Paese. Il giudizio riguarda soprattutto le imprese del Mezzogiorno, nel settore dei servizi alle imprese e che contemporaneamente hanno percepito un aumento del lavoro sommerso. Le attese di una riforma che sulla carta avrebbe rilanciato l’occupazione sono andate completamente deluse: solo il 4% delle imprese la manovra del ministro tecnico positiva.

Le conseguenze della legge Fornero pesano sulle scelte dei piccoli imprenditori, fra i quali serpeggia molta incertezza per il futuro. Dal sondaggio emerge, infatti, che negli ultimi 8 mesi solo 6 imprese artigiane su 100 (pari a 86.824 aziende) hanno assunto personale e la stessa percentuale riguarda chi ha pensato di assumere ma ha dovuto rinunciare.

A frenare l’offerta lavorativa delle piccole imprese è soprattutto la crisi economica, che ha scoraggiato il 46% degli imprenditori, soprattutto donne e del Centro-Sud. Ma il secondo grande ostacolo all’assunzione, indicato dal 30% degli imprenditori, è rappresentato dai costi fiscali sul lavoro troppo alti. Problema, quest’ultimo, denunciato soprattutto dagli imprenditori tra i 35 e i 44 anni, nel settore dei servizi alla persone e che contemporaneamente hanno percepito un aumento del lavoro sommerso.

L’ostacolo dell’elevato cuneo fiscale sul lavoro ha un peso maggiore (60%) per gli artigiani che hanno comunque assunto o hanno intenzione di farlo.

Il sondaggio Ispo/Confartigianato mette evidenzia che i contratti a tempo determinato rimane la tipologia contrattuale più utilizzata: è indicata dal 37% degli imprenditori che, negli ultimi 8 mesi, hanno assunto o prevedono di assumere personale. Seguono l’apprendistato, segnalato dal 23% degli imprenditori, e i contratti a tempo indeterminato (21%). Pochissimi i contratti a progetto, indicati dal 5% degli imprenditori intervistati.

I vincoli, ma soprattutto i costi della legge Fornero hanno determinato un tale stato di apprensione fra gli imprenditori che non sanno se valga la pena mantenere in azienda i contratti a termine e i contratti di apprendistato. Un alta percentuale di imprenditori (59%) è indeciso se rinnovare o meno i contratti.

Situazione analoga per i contratti di apprendistato con il 55% degli imprenditori che non ha ancora scelto se assumerli definitivamente o non assumerà definitivamente gli apprendisti impiegati in azienda.

Tali ostacoli nel mercato del lavoro sembrano alimentare il lavoro irregolare. Nell’ultimo anno, un terzo degli intervistati, pari a 434.121 aziende, ha percepito un aumento del lavoro sommerso. Un’indicazione diffusa soprattutto tra le imprese con più di 5 dipendenti, nelle grandi città, nel Centro Italia e nei settori manifatturiero e dei servizi alle imprese.

Per il presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti, “le rilevazioni confermano quanto avevamo temuto e denunciato: la riforma Fornero ha frenato la propensione ad assumere e ad utilizzare contratti flessibili, ha aumentato il costo dell’apprendistato e dei contratti a tempo determinato, senza peraltro alcuna riduzione del costo del lavoro dei cosiddetti contratti standard. Inoltre, la riforma Fornero, a causa della confusa formulazione delle norme su partite Iva e associazioni in partecipazione, sta determinando un freno anche rispetto al lavoro autonomo genuino e, conseguentemente, al sistema produttivo. Ha ulteriormente complicato la normativa sul lavoro. Insomma, tutto il contrario rispetto a ciò che serve, soprattutto in tempi di crisi, vale a dire la diminuzione del costo del lavoro, a cominciare proprio dall’apprendistato e dai contratti a termine, la drastica riduzione e semplificazione delle leggi sul lavoro, affidando alla contrattazione collettiva il compito di disciplinare il dettaglio dei rapporti di lavoro. Con la disoccupazione giovanile che sta veleggiando al 40%, dobbiamo incrementare le occasioni di lavoro, non ridurle”.

Se andiamo ad analizzare gli effetti della riforma Fornero sull’occupazione, emergono cifre raccapriccianti: da luglio 2012 a gennaio 2013 si sono persi 1.641 occupati al giorno. In 6 mesi l’occupazione è calata dell’1,3%, il dato peggiore degli ultimi 9 anni. Non è finita. Nel secondo semestre 2012 l’occupazione in Italia ha subito un crollo senza precedenti.

Uno studio di Confartigianato ha evidenziato che da luglio 2012 (mese in cui è entrata in vigore la riforma del mercato del lavoro, la legge 192/20912, firmata dal ministro Fornero) a gennaio 2013, il numero dei disoccupati è aumentato di 268.000 unità. Contemporaneamente il tasso di disoccupazione è aumentato dell’1,1%, vale a dire più del doppio rispetto al + 0,5% registrato nei Paesi dell’Eurozona.

Nel primo semestre di applicazione, la legge Fornero sembra aver influito sull’andamento di alcune forme contrattuali: le assunzioni a tempo intermittente sono diminuite del 37,4% rispetto al secondo semestre 2011 e i contratti di lavoro a tempo parasubordinato sono calati del 15,3%. Complessivamente le due tipologie di contratto hanno fatto registrare un calo del 24,4% rispetto al secondo semestre del 2011.

Calano anche le assunzioni di lavoratori dipendenti, con un -4,4% rispetto al secondo semestre 2011. Segno negativo anche per gli apprendisti che a fine 2012 fanno registrare una diminuzione del 6,5% rispetto all’anno precedente. Stessa sorte per i lavoratori in proprio senza dipendenti, diminuiti del 3,2% nel corso del 2012, e per i collaboratori, in flessione del 4,8%.

Diminuisce l’occupazione, in compenso cresce il costo del lavoro. Secondo Confartigianato, nel decennio che va dal terzo trimestre 2002 al terzo trimestre 2012, il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 24,8%, vale a dire 7,8 punti in più rispetto all’aumento del 17% registrato nell’Eurozona. E all’interno di questo record negativo, l’Italia fa segnare l’altro primato poco invidiabile che riguarda la tassazione dei salari: nel nostro Paese il cuneo fiscale sul costo del lavoro di un dipendente single senza figli con retribuzione media è pari al 47,6%, un livello superiore di 12,3 punti rispetto alla media del 35,3% rilevata nei Paesi dell’Ocse.

Insomma, una vera debacle. Chissà se il Governo dei professori, ossequiosi paladini del Fiscal Compact e del risanamento del bilancio l’avevano prevista.


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