Le elezioni europee sono ormai alle porte, i giochi sono fatti, le alleanze strette o in pausa e tra poco più di un mese si andrà alla prova delle urne. I nodi sono più o meno tutti sciolti. Tranne uno: che fine faranno i voti di Totò Cuffaro? Il leader della Democrazia cristiana su questo […]
Europee, il dilemma di Cuffaro. Tutti in cerca dei voti dell’ex governatore ma in pochi vogliono andare in Europa con lui
Le elezioni europee sono ormai alle porte, i giochi sono fatti, le alleanze strette o in pausa e tra poco più di un mese si andrà alla prova delle urne. I nodi sono più o meno tutti sciolti. Tranne uno: che fine faranno i voti di Totò Cuffaro? Il leader della Democrazia cristiana su questo è tornato a parlare ed è stato pure abbastanza chiaro: «Voglio ribadire che, pur in assenza del nostro simbolo e dei nostri candidati, rimarrà fermo e convinto l’impegno dell’intera comunità politica della Democrazia cristiana nel sostenere unitariamente i tentativi che all’interno del centrodestra stanno puntando anche in questa consultazione europea e auspichiamo ancor più, nel prossimo futuro, sull’edificazione dell’esperienza politica e del Partito popolare Europeo, sulle ragioni fondanti della sua identità e del suo patrimonio di valori».
Insomma, il pacchetto dell’ex presidente della Regione, che non è riuscito a presentare una sua lista nonostante in sede di Regionali valesse 150mila voti -preferenza più, preferenza meno – andrà a contribuire al buon risultato del centrodestra. Ok, ma come? Chi sarà il candidato appoggiato dalla Dc è quesito ancora irrisolto, ancor più che arriva dopo una campagna piuttosto complicata portata avanti dagli alleati di Cuffaro. I grandi partiti infatti se da una parte vorrebbero con bramosia uno stock di voti che sulla carta negli ultimi mesi si è pure consolidato, dall’altra non vogliono saperne nulla di Totò. Si veda come esempio quello di Forza Italia: il presidente Renato Schifani aveva pure teso una mano alla Dc invitandone gli esponenti in lista, salvo poi fare dietro front su indicazione di Antonio Tajani.
D’altra parte la strategia di partito è stata quella del rebranding all’insegna dell’antimafia, con tanto di candidatura di Caterina Chinnici come capolista. Fatto che per Cuffaro suona come una preclusione. E lui non l’ha presa bene, tanto che ha pure ricordato: «Al di là dei comprensibili riferimenti al mio trascorso giudiziario, utilizzati spesso in dispregio dei principi costituzionali della funzione rieducativa della pena e delle stesse sentenze della magistratura di sorveglianza in tema di riabilitazione, risulta evidente che in tante occasioni sono stato tirato in ballo solo in funzione strumentale a contese per l’affermazione di leadership personali ed equilibri di potere tra alcuni dei partiti in campo e all’interno di essi».
E poi c’è Matteo Renzi. Con lui l’accordo era saltato all’ultimo momento, ma i buoni rapporti con luogotentente renziano in Sicilia Davide Faraone non sono certo novità. Lo stesso Renzi ieri a Palermo ha detto che «nonostante gli accordi siano saltati difendo Cuffaro, basta con questo giustizialismo». Dichiarazioni che rischiano di fargli fare jackpot accaparrandosi in un colpo solo i voti di parte dei cuffariani e senza tuttavia doversi portare dietro l’ingombro di una figura, quella dell’ex presidente della Regione, che in Sicilia porta e porterà voti ed è richiestissima, ma viene chiaramente snobbata quando si tratta di presentarsi in Europa.