Alla sbarra ci sono Giuseppe Sallemi e Luciano Giammellaro. Gli avvocati delle parti civili hanno chiesto di citare come responsabili civili i due con cui i custodi avrebbero avuto un contratto di lavoro. A perdere la vita furono Massimo Casella e Agatino Saraniti
È iniziato il processo per il duplice omicidio della Piana Chiamati in causa pure i proprietari del fondo agricolo
Si è aperto ieri il processo davanti alla corte d’Assise di Siracusa che vede imputati il custode 42enne Giuseppe Sallemi e il pensionato 71enne Luciano Giammellaro. Entrambi sono accusati di essere gli autori del duplice omicidio e del tentato omicidio avvenuti la notte tra il 9 e il 10 febbraio del 2020 in contrada Xirumi, nella zona della Piana, a cavallo tra le province di Catania e Siracusa. A perdere la vita furono il 47enne Massimo Casella e il 18enne – figlio della sua compagna – Agatino Saraniti. Unico sopravvissuto e testimone chiave dell’inchiesta è il 36enne Gregorio Signorelli che è anche indagato nel procedimento collegato per il tentativo di furto di arance di quella notte.
Durante la prima udienza, le parti civili hanno chiamato in causa anche i due proprietari del fondo agricolo con cui gli imputati avrebbero avuto un contratto di lavoro. Per i legali che li assistono, potrebbero esserci i margini per ritenere anche loro responsabili di quanto accaduto. La corte d’Assise ha accolto la richiesta degli avvocati delle parti civili e ha già emesso il decreto di autorizzazione alla citazione dei due proprietari dei terreni come responsabili civili. Non solo il sopravvissuto, come parti civili del procedimento sono stati ammessi anche diversi familiari delle due vittime: per Casella la madre Grazia Alì, i fratelli Giuseppe, Mario e Marco, le sorelle Emilia e Loredana, la moglie Debora Labbattaglia e il figlio Lorenzo. Per Saraniti, invece, le parti civili accolte sono la madre Patrizia Di Pietro (anche come genitore del fratello minorenne di Agatino), la compagna e madre della loro figlia che portava in grembo nel momento del delitto Morena Scuderi, la sorella Carmela Zuccaro e i fratelli Giuseppe Zuccaro e Salvatore Angelo Saraniti.
L’impianto accusatorio si basa soprattutto sulle dichiarazioni di Signorelli che, già dal letto d’ospedale in cui si trovava ricoverato dopo le gravi ferite di colpi d’arma da fuoco, aveva ricostruito quanto accaduto quella notte nella vasta scena del crimine. «Erano in tre – aveva raccontato il sopravvissuto a MeridioNews – sono arrivati tutti insieme con due macchine e i due scesi dalla jeep erano già armati». Loro, invece, erano tutti e tre disarmati. Una versione che Signorelli ha poi ribadito anche durante l‘incidente probatorio. La terza persona di cui ha parlato il sopravvissuto è un uomo più giovane, individuato nel figlio dell’anziano guardiano (non indagato) che «avrebbe assistito ai primi momenti ma sarebbe poi andato via senza prenderne parte».
Dopo essere stato arrestato, Sallemi (detenuto nella casa circondariale di Piazza Armerina e che ha rinunciato ieri a partecipare all’udienza) aveva confessato di avere agito da solo e per legittima difesa. Una versione smontata dai risultati dell’autopsia che lui stesso, in seguito, avrebbe parzialmente ritrattato. Giammellaro (che si trova, al momento, detenuto nella casa circondariale di Agrigento e che ieri era presente in aula), invece, continua a professarsi innocente. Per il sostituto procuratore, a spingere i due a imbracciare il fucile calibro 12 (portato illegalmente in quel luogo perché Sallemi aveva il porto d’armi solo per andare a caccia) caricato a pallini e a esplodere diversi colpi, anche a distanza ravvicinata, sarebbe stato un «risentimento per l’azione predatoria ai danni del fondo agrumicolo», si legge nei documenti. Un movente che è stato ritenuto sproporzionato all’azione per cui sussiste l’aggravante dei futili motivi. Per la morte di Saraniti, inoltre, viene contestata anche l’aggravante della crudeltà per l’ultimo colpo sparato a contatto.