Dopo il voto una parola d’ordine: rilancio dell’Autonomia

Non sappiamo come finiranno queste elezioni politiche. Ma sappiamo che, per la Sicilia, per una serie di motivi che adesso cercheremo di illustrare, saranno decisive. Dopo questo passaggio elettorale, comunque andranno le cose, e a prescindere da chi vincerà, i siciliani dovranno tirare un consuntivo di quella che viene definita la Seconda Repubblica.

Un bilancio consuntivo politico, prima che economico. I due bilanci, è chiaro, sono intimamente connessi. Ma visto che del secondo conosciamo già quasi tutto, se è vero che la Regione è in ‘bolletta’, le famiglie siciliane sono in ginocchio e le imprese meglio non parlarne, sarà di politica che si dovrà cominciare a parlare. Anche perché, se non cambieranno – radicalmente – la politica siciliana e il rapporto tra la stessa politica siciliana, l’Italia e l’Unione Europea, l’economia della nostra Isola resterà al palo.

La prima considerazione che faremo, e che possiamo anticipare, è che con la cosiddetta Prima Repubblica, contrassegnata dalla presenza nei Governi dei democristiani, c’erano tante storture ma, tutto sommato, si campava. C’era chi campava meglio e chi campava peggio: ma si campava.

Con l’avvento della Seconda Repubblica lo scenario economico e sociale del nostro Paese è peggiorato: un peggioramento lento ma inesorabile. Fino ad arrivare ai nostri giorni, fatti di mense per i poveri piene di gente, di banchi alimentari, di negozi che chiudono, di imprese che falliscono, di famiglie che patiscono, in molti casi anche la fame.

Si dirà: la crisi dipende anche dalla finanza globalizzata e speculativa e da un’Unione Europea che non è estranea né alla prima, né alla seconda. Verissimo. E, infatti, la Sicilia, dopo le elezioni, dovrà mettere in discussione l’Italia e l’Unione Europea.

Con l’Italia abbiamo un conto aperto dal 1860. Da quando quel pirata di Giuseppe Garibaldi rubò l’oro e i soldi del Banco di Sicilia per consegnarli a quegli altri pirati di casa Savoia. Una storia che è proseguita con le ‘scannatine’ attuate dai piemontesi per combattere il ‘brigantaggio’ del Sud, con i Prefetti di Giolitti, con il fascismo, fino ad arrivare all’ultima ‘dominazione’: l’attuale: quella dell’odierna Repubblica, nata da un referendum discutibile, e arrivata, di strage di Stato in strage di Stato – da Portella della Ginestra a via D’Amelio – fino ai nostri giorni.

A noi, almeno in questa fase, interessa sottolineare a chiare lettere un concetto: l’Autonomia siciliana non può più essere calpestata. Non può più essere calpestata dallo Stato italiano e, a maggior ragione, non può essere più ignorata da un’Unione Europea sempre più sputtanata.

Nelle ultime due settimane abbiamo pubblicato un’inchiesta a puntate – firmata dal nostro Alessandro Mauceri – sui guasti, sugli sprechi, sulle clientele e sugli affari sporchi dell’Unione Europea. Quanto basta per capire che l’Unione Europea, lungi dall’essere l’Europa dei popoli sognata negli anni ’50 del secolo scorso, è oggi una sommatoria informe di comitati di affari. Una nuova tirannide governata da una rispetta cerchia, probabilmente massonica, che utilizza con sapienza criminale l’euro, il debito pubblico e il cosiddetto spread.

In questo gioco perverso di perdita della sovranità nazionale il nostro Paese, l’Italia, è rimasto infognato. Certo, non mancano le persone intelligenti che hanno capito – e su questo progetto lavorano – per uscire dall’euro e, quindi dall’Unione Europea. Obiettivo sacrosanto e, soprattutto, democratico.

Noi, però, in Sicilia, abbiamo da difendere qualcosa in più: il nostro Statuto che è stato conquistato con il sangue. Lo Statuto autonomistico siciliano, come ammetteva, a denti stretti e a malincuore, don Luigi Sturzo, è stato il frutto delle lotte e, perché no?, anche del ricatto dei separatisti. Lo stesso Sturzo, in un celebre messaggio inviato ai suoi collaboratori che in Sicilia ‘trantuliavano’ un po’, ebbe a scrivere: “Autonomia sì, separatismo, no”.

Solo che, oggi, e questo non finiremo mai di ripeterlo, l’Autonomia siciliana è stata calpestata. A cominciare da una sentenza banditesca e truffaldina di fine anni ’50, quando una Corte Costituzionale arrivata dopo (e non con) la Costituzione italiana, arrivata dopo lo Statuto autonomistico siciliano e arrivata dopo l’Alta Corte per la Sicilia assorbiva abusivamente – e incostituzionalmente – le competenze della stessa Alta Corte per la Sicilia (della quale aveva fatto parte don Sturzo che su questa sentenza, forse perché avanti con gli anni, non è mai arrivato a dirci quello che in realtà pensava).

Ora ci siamo stancati di aspettare. Dal presidente della Regione, Rosario Crocetta, ci aspettiamo – come lui stesso ha promesso – il rilancio dell’Alta Corte per la Sicilia. E ci aspettiamo, soprattutto, un rilancio complessivo delle prerogative autonomiste.

In tutta l’Europa i popoli che anelano all’indipendenza e alla libertà sono in rivolta. Ed è bene che il vento della libertà cominci a soffiare anche nella nostra Isola. Se la politica italiana ha avuto il piacere di cedere la sovranità monetaria e altri ‘pezzi’ di sovranità all’Unione Europea degli affari e degli affaristi – dall’introduzione del pareggio di Bilancio nella Costituzione al Fiscal compact – beh, sono cavoli suoi. Noi dobbiamo fare valere i nostri principi, che sono un po’ più antichi e molto più seri dei principi massonici di un’Unione Europea, lo ribadiamo, sempre più screditata.

Dopo le elezioni deve cominciare una seria azione di rilancio dell’Autonomia siciliana. Cominciando a ridiscutere tutto: tutto quello che prima lo Stato centrale italiano e, da qualche anno, l’Unione Europea ci hanno sottratto.

Sia chiaro: non siamo i soli a pensarla così: altre Regioni europee la pensano allo tesso modo e hanno già dato vita a grandi manifestazioni popolari.

Dopo le elezioni, per la Sicilia, comunque andranno le cose a Roma, si dovrà per forza di cose aprire una nuova partita. Anche perché le gravi condizioni finanziarie della nostra Regione – che questo giornale ha più volte sottolineato – necessitano di una volta radicale che non potrà materializzarsi, soltanto, in altri sacrifici a carico dei siciliani.

 

 


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