Riprendiamo dal forum di Radio Zammù un post di Daniela Tuscano. A quarant'anni dalla morte, l'autore di «Lettera a una professoressa» ha ancora qualcosa da dire al nostro tempo. E sarebbe ora di cancellare una condanna emessa dal Sant'Uffizio
Don Milani, togliere l’infamia
Forse è il tempo di una Lettera a don Milani da parte di una professoressa. Quanto ci manca la sua parola sferzante, puntuta, spartana, scagliata. Freccia di marmo.
Ma, per il momento, almeno questa gliela dobbiamo. Tutti noi, certo. In particolare, però, i suoi confratelli. Quella macchia infamante. Infamante non certo per lui – anche la morte di Cristo è stata, in tal senso, infamante -, ma per chi glielha comminata. Ci riferiamo alla condanna di Esperienze pastorali da parte dellex-SantUffizio.
Quel suo libro dal titolo così innocuo aveva mandato su tutte le furie il perbenismo clericale del tempo. E non solo. Talmente abituati a confondere il cristianesimo con unorrida morale dellordine (P. P. Pasolini), i superiori di don Lorenzo avevano accusato il testo di demoralizzare e sovvertire gli animi. I poveri non sarebbero mai usciti da una condizione di minorità. Colmare le differenze era impossibile. Meglio, molto meglio dispensar loro briciole di cristiana rassegnazione. Inoltre lItalia, ormai uscita dalla guerra e ripresasi dagli stenti, si avviava alla prosperità. Perché scoraggiarla ancora con chi tira la cinghia, con i nostri numi straccioni e disperati? La gente aveva voglia di sorridere, divertirsi e consumare. Per ragioni simili, Giulio Andreotti, allora ministro dello Spettacolo, condannava il neorealismo.
Infamante quella condanna, dunque, non per don Lorenzo, ma per la Chiesa chegli amava. E per noi. Già nel 1992 Franco Marini, a nome della Cisl, esortò la Congregazione per la Dottrina della Fede a lavare quella macchia. Gli fu risposto – così come si risponde ora – che era ormai inutile, non esistendo più il SantUffizio.
E invece è utilissimo, anzi, indispensabile. Conosciamo bene la valenza simbolica e la portata di un simile gesto. Non è una questione di forma. Un conto è restare sottintesi, un conto è parlare a fronte levata. La ragione per cui quella condanna resta, sia pure e solo letterale, e decaduta, non viene ufficialmente e apertamente rimossa, è che don Milani continua a tormentarci, che il suo cristianesimo ferisce e piega, e piaga; perché vero; perché dinamico; perché ti mette con le spalle al muro. Con lui non si bara; non bara il cardinale sessuofobo, non bara il borghese pasciuto, non bara il teocon, ma non bara nemmeno il rivoluzionario da salotto, lintellettuale spinellato, il pacifista di professione.
Da più parti si invoca il diritto della Chiesa a proclamare forte e chiara una parola cristiana definitiva e integrale. Eccone unoccasione. Noi non disperiamo mai, ma che papa Ratzinger colga questoccasione, ci sembra poco probabile.
Ma non è detto.