Tra le carte del processo che si aprirà a novembre a Caltanissetta contro i poliziotti accusati di aver contribuito alla creazione del finto pentito della strage di via D’Amelio anche una perizia grafica del 2016, che dimostra come alcuni bigliettini a lui attribuiti furono usati per indottrinarlo. Le grafologhe: «Indiscutibili identità, alcune immagini parlano da sole»
Depistaggio Borsellino, quei post-it per istruire Scarantino «Necessari perché imparasse bene versione da raccontare»
«I documenti sono attribuibili a una sola ed unica mano scrivente, quella del sovrintendente Fabrizio Mattei». È una conclusione, quella a firma delle consulenti grafologhe Rosaria Calvauna ed Eleonora Gaudenzi, che lascia davvero pochi dubbi. E alla quale loro stesse giungono, nel febbraio di due anni fa, fornendo non pochi elementi e considerazioni ben articolate. Una perizia del passato, quindi, ma ancora fortemente attuale, dal momento che tira in ballo da un lato il finto pentito protagonista del depistaggio di via D’Amelio Vincenzo Scarantino, e dall’altro uno di quei funzionari che oggi deve rispondere di calunnia aggravata, di aver contribuito alla creazione proprio di quel finto collaboratore e di aver agevolato Cosa nostra. Quel funzionario è Fabrizio Mattei, il poliziotto che il mese prossimo dovrà affrontare il processo a Caltanissetta insieme ai colleghi Mario Bo e Michele Ribaudo. I documenti da cui prende le mosse il confronto delle consulenti fiorentine parte da alcuni post-it che, a cavallo tra la fine del 1994 e l’inizio del ’95, vennero inseriti all’interno dei verbali d’interrogatorio all’epoca sottoposti a Scarantino e che sono entrati a far parte, su richiesta del pubblico ministero, degli atti del Borsellino quater.
«Questi recano una grafia che non era quella di Scarantino, bensì quella dell’ispettore Mattei. Lo dice una perizia ufficiale, ma lo afferma anche il poliziotto in persona, che se ne attribuisce oggi la paternità sentito come teste al processo», spiega l’avvocato Calogero Montante, che rappresenta il finto pentito. «Si tratta di post-it che venivano messi sostanzialmente lì dentro per aiutare Scarantino nell’opera di indottrinamento – precisa -. Siccome lui ha la terza elementare e anche delle grossissime difficoltà a livello linguistico e a livello di eloquio, era necessario che imparasse la versione che doveva rendere in fase di interrogatorio, soprattutto gli aggiustamenti che doveva dare e per sistemare una serie di particolari della ricostruzione e della sua presunta partecipazione alla strage di via D’Amelio, cercando di raccordarsi con le dichiarazioni rese dagli altri collaboratori, Candura e Andriotta». Post-it, quindi, presenti adesso anche fra gli atti del processo a carico dei tre funzionari. «Rappresentano la prova del fatto che Scarantino veniva indottrinato, veniva spinto a calunniare proprio sulla base di un lucido disegno degli stessi agenti di polizia, comandati da Arnaldo La Barbera – continua l’avvocato -. Uno dei capisaldi che il pubblico ministero ha nel formulare la sua accusa nei confronti di questo ispettore, unitamente agli altri. Anche perché Mattei era accompagnato dall’ispettore Ribaudo – infatti anche la sua grafia è stata posta a confronto con quella riportata sui post-it – e Bo, il vice di La Barbera».
La perizia condotta dalle due esperte confronta questi post-it con alcuni documenti originali che riportano la scrittura sia di Ribaudo che di Mattei. Nel caso di quest’ultimo, si tratta in tutto di sei campioni che ripercorrono un periodo temporale che parte dal 1984 e arriva fino al 2010. La conclusione, per lui, arriva dopo poche pagine: «Differente si presenta la grafia in verifica, allorquando si procede al confronto delle peculiarità rilevate e non rinvenute nella grafia autografa di Ribaudo». Il parere delle due consulenti, insomma, formulato «con valenza di certezza», porta a definire la scrittura di Ribaudo non compatibile con gli elementi grafici delle scritture oggetto della verifica, per cui «è possibile affermare che Ribaudo non ha redatto le manoscritte di cui al quesito». Dopo di lui, tocca a Mattei. Il materiale da comparare viene consegnato alle consulenti il 17 novembre 2015 dalla Dda di Caltanissetta. Documenti e manoscritti, quelli riportanti in calce la scrittura dell’imputato, che percorrono un arco temporale che va dal 1980 fino al 2006. Sono otto in tutto e dimostrano, come per Ribaudo, che nel tempo la grafia di Mattei ha mantenuto caratteristiche costanti e invariate. Una grafia che «si presenta chiara, fluida, tendente alla curvilineità. Si riscontrano personalizzazioni grafiche evidenziabili sia nel corsivo che nello scritto in stampatello – un passaggio che le consulenti mettono bene in evidenza nella perizia -. Tendenza ad investire la maggior parte delle energie grafiche nelle ampiezze orizzontali piuttosto che nell’estensione in verticale. Questa prima osservazione evidenzia elementi grafici coincidenti con le manoscritte oggetto di indagine».
Dalla lettera V eseguita con un «movimento senza soluzione di continuità, risvolto basale e tendenza verso sinistra» alla lettera Q con «taglio verticale rientrante in zona finale»; o ancora la lettera U con «gancio in zona finale superiore» e la E «per cronologia esecutoria nonché per curvilineità basale e ganci finali». Riscontri dopo riscontri comparando singole lettere e anche gruppi di lettere, la loro forma, il loro rigonfiamento, la tendenza discendente seguita sul foglio, il modo sempre uguale di legare certe vocali a certe precise consonanti. La perizia si addentra in minuziosi dettagli, e le caratteristiche riscontrate e descritte dalle consulenti appaiono precise, chiare. Si parla di «formazione iniziale di avvolgimento a conchiglia; presenza del risvolto basale con occhiello; tratto discendente verticale leggermente concavo e breve; tratti sfilati in zona terminale». E a ripetersi, che si tratti di lettere o numeri, è questa tendenza a usare una forma, appunto, «a conchiglia», piuttosto specifica e personale.
«L’identità grafica tra le XX – cioè la scrittura sui post-it – e la grafia autografa di Mattei è palese in quanto le XX risultano spontanee e naturali, così come risulta spontanea e naturale la grafia comparativa di Mattei. Non sono stati riscontrati elementi discordanti. Le corrispondenze grafiche riscontrate sono dunque veramente valide a fini peritali, numerose, e qualitativamente significative per giungere ad una attribuzione di mano». Le due consulenti infatti scrivono nero su bianco che il risultato delle loro analisi riconduce a «indiscutibili identità riscontrate nei vari parametri grafici». Tanto che da un certo punto in poi spariscono anche i loro appunti e le loro indicazioni tecniche, poiché «le immagini – scrivono – parlano da sole». «Ricordiamo – la conclusione – che l’ambito in cui si è operato per le scritture comparative è un ambito di una motricità spontanea, genuina e scevra di qualsiasi tentativo di dissimulazione (tutte le scritte comparative sono state redatte in tempi non sospetti). La stessa spontaneità di gettito è stata riscontrata nei documenti qui in verifica, dandoci modo di portare a termine il nostro incarico riconducendo, in tutta scienza e coscienza, le manoscritture in esame al suo autore». Cioè lo stesso che se l’è attribuite davanti ai giudici del processo su via D’Amelio, quel Fabrizio Mattei che adesso dovrà rispondere di uno dei più gravi depistaggi della storia italiana.