Delzìo: “La rivoluzione in Sicilia si chiama No Tax area”. E sul Fiscal Compact: “Ammazza le economie”

LE CONSEGUENZE DI UNA IPOTETICA USCITA DELL’ITALIA DAL SISTEMA EURO.  GLI EFFETTI DEL FISCAL COMPACT E LA NECESSITA’ DI RIVEDERE L’ACCORDO.  LA QUESTIONE MERIDIONALE E LE POSSIBILI SOLUZIONI. IL FUTURO DELLA SICILIA. QUESTI ALCUNI DEGLI ARGOMENTI DI CUI ABBIAMO PARLATO CON  FRANCESCO DELZIO, AUTORE DI LIBRI COME ‘LA SCOSSA’ SUL RILANCIO DEL MEZZOGIORNO, ‘GENERAZIONE TUAREG’ E ‘LOTTA DI TASSE’

“L’unica grande battaglia che la Sicilia dovrebbe intestarsi è quella della No Tax Area, tutto il resto sono chiacchiere“. Parola di Francesco Delzio, barese, classe 1974, manager, scrittore e docente universitario a Roma. Considerato una delle menti più brillanti della generazione dei trentenni, Delzìo è soprattutto, un appasionato della questione meridionale. All’argomento ha dedicato un libro molto noto: ‘La Scossa’, nel quale ha denunciato la totale assenza del Sud dall’agenda dei Governi nazionali: “Basta guardare alle politiche industriali degli ultimi 15 anni per rendersene conto o alla disattenzione dei media verso la questione meridionale”. 

Secondo rumors di corridoio (non confermati), il suo nome, è inserito nella lista dei possibili Commissari che la Capitale potrebbe inviare in Sicilia per gestire la drammatica situazione finanziaria dell’Isola. Gli altri nomi che circolano (i Commissari sarebbero tre) sono quelli di Tito Boeri,  Michele Ainis e Roberto Scarpinato. Ma, lo ripetiamo, sono solo voci. E, resta una ipotesi, per quanto sempre più realistica, (come testimoniano gli allarmi lanciati ieri sia dal Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che dal Senatore di Forza Italia, Saverio Romano) quella di un Commissariamento della Regione siciliana.

Nonostante i suoi numerosi impegni, dalla capitale, Delzìo risponde con piacere alle domande di LinkSicilia. Non a caso, si definisce un ‘sudista’ per passione.

Abbiamo già avuto il piacere di parlare con lei, un paio di anni fa’, della questione meridionale. Da allora nulla è cambiato. O meglio, sono peggiorati gli indicatori economici, i Governi sono sempre più distratti e cresce la disaffezione nei confronti dell’Ue e dell’euro. Pensa che l’abbandono del sistema monetario europeo potrebbe giovare all’Italia e, in particolare, al Mezzogiorno, come ormai sostengono in molti?

“No, non credo. Credo sia giusto discuterne perché per troppi anni abbiamo vissuto in una sorta di tabù ideologico che ci ha portato ad essere acritici. Rinunciare però alla moneta unica, secondo me, sarebbe come affrontare l’oceano in tempesta su un gommone. Pochissime le chance di sopravvivere. Quello che temo, in questa ipotesi, è soprattutto, la debolezza della guida della nostra economia. In altre parole, avrei il terrore di affidare la gestione di una moneta alla nostra classe politica”.

Quindi se la nostra classe politica fosse diversa, il suo terrore diminuirebbe?

“Probabilmente, ma è quella che è.  Così come è troppo pesante lo stock di debito pubblico che abbiamo. In queste condizioni, abbandonare l’euro, è un lusso che non possiamo permetterci. Il rischio sarebbe catastrofico per l’Italia intera, e per il Sud che è la parte più debole, in particolare”.

Eppure questa Europa ci sta massacrando. Basti pensare al Fiscal Compact. O no?

“Senza dubbio. Anche in questo caso, l’acriticismo ha impedito alla nostra classe politica di riflettere.  Sul Fiscal Compact abbiamo sbagliato in toto. Lo ha ammesso anche il FMI, non solo in merito alla Grecia, ma in generale per tutta l’Europa.  I nostri Governi nazionali non hanno approfondito la fase istruttoria, ovvero non hanno calcolato bene il peso dei costi e dei benefici di quell’accordo.  Le nostre classi dirigenti hanno fatto un grande errore.  Così come è, il Fiscal Compact, ammazza le economie più deboli, come l’ Italia e  in primis il Mezzogiorno.  Quindi va sicuramente rivisto, puntando su un tema emergenziale che è la disoccupazione. Tutta l’Europa dovrebbe convergere su questo punto: sulla questione lavoro bisogna liberarsi dai vincoli del Fiscal Compact, servono tagli al fisco e nuove assunzioni, o non usciremo più da questa crisi”.

Ma, lei vede segni di redenzione nell’attuale Governo nazionale?

“Diciamo che adesso c’è un dibattito, sia nel Pd di Renzi che nel centrodestra di Berlusconi. Se ne discute criticamente. Ma, al momento resta un dibattitto, mancano le soluzioni. Il semestre italiano di Presidenza dell’ Ue, potrebbe essere l’occasione giusta affinché l’Italia si intesti questa battaglia. Ci vuole coraggio politico”.

In questo contesto quale potrebbe essere la soluzione per il rilancio del Sud Italia?

“Per tutto il Sud Italia, ed in particolare per la Sicilia, l’unica vera rivoluzione sarebbe quella della No Tax Area. Basta guardare alle Baleari o all’Irlanda, economie che, per una molteplicità di fattori, una volta erano in sofferenza e che oggi sono rifiorite grazie ad una politica economica che ha introdotto agevolazioni fiscali per attrarre  investimenti importanti.  In Irlanda, ad esempio, attualmente si registra solo una crisi di crescita, che è cosa ben diversa dalla crisi permanente che si registra nelle regioni del Sud e in Sicilia”.

Sistema di agevolazioni fiscali che lo Statuto siciliano prevede ma il Governo nazionale è sordo. Così come lo è quello regionale. Nessuno batte i pugni sui tavoli di Bruxelles affinché sia data questa opportunità al Sud. 

“Torniamo al discorso di prima. Siamo stati in Europa come sudditi. Bisogna cambiare filosofia e battersi per le giuste cause. Per la Sicilia questa sarebbe l’unica battaglia importante”.

A che tipo di No Tax Area pensa per la Sicilia?

“Dovrebbe essere mirata su quei settori che possono costituire i driver della crescita: turismo di qualità, agroalimentare e Ict. Si metterebbero in moto investimenti che porterebbero anche alla valorizzazione di quelle risorse umane qualificate che fino ad ora sono state costrette ad emigrare”.

Ultima domanda. Cosa ne pensa dei progetti di introdurre monete regionali parallele all’euro?

“Credo possano servire come droga ideologica. In termini economici, no”.

 

 

 

 

 

 


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