Per la "domenica di Step1", vi proponiamo una riflessione filosofico-estetica sull'andare a zonzo. Passeggiare dentro un paesaggio - ci spiega uno scrittore che coltiva questa arte nelle campagne intorno a Noto - «somiglia ad una breve avventura di poche ore», un'esperienza di libertà, ma anche la scoperta di un patrimonio rurale dai fragili equilibri «sottoposto a violenze, manomissioni e disinteresse»
Del passeggiare
Turismo «intelligente» ed escursionismo costituiscono oggi una componente di grande rilievo nell’impiego del tempo libero di un numero crescente di persone. Così come la fruizione degli spazi geografici vicini, quelli accanto ai quali si vive tutti i giorni, ossia il passeggiare nella natura circostante.
Osservando meglio le cose, viene il sospetto tuttavia che il più delle volte tale pratica, ancorché dalla consapevolezza e dall’intelligenza dei suoi significati più profondi, sembra piuttosto scaturire dall’adesione ad una moda, risolvendosi pertanto in un’esperienza solo in parte feconda. A qualcuno forse la questione potrà sembrare leggera, se non frivola. Eppure, parlando del passeggiare, parliamo del modo più diretto di essere nel mondo, di percorrerlo, osservarlo, viverlo. Ancora, si potrebbe obiettare che è un fatto del tutto naturale abbandonarsi alle flaneries più diverse. E, con tutto ciò, si farà osservare che si tratta di un fatto assolutamente culturale, con una sua storia, i suoi momenti più significativi, la sua valenza sociale, i suoi modelli.
Certamente, la passeggiata si distingue dal semplice avanzare nello spazio, così come dal viaggio in paesi stranieri, in cui si va per scoprire mondi diversi. Essa in apparenza non si pone l’obiettivo di raggiungere una destinazione o un fine reale. Montaigne diceva: «Io passeggio per passeggiare». E ancora scrive Robert Walser: «Non conosco passeggiate che diano vero piacere oltre a quelle che si fanno senza scopo, quando si va unicamente per andare e si cerca senza volere nessuna cosa».
Se l’assenza di uno scopo reale, di un’utilità immediata, è dunque una caratteristica del passeggiare, ciò non significa che non possano esistere dei fini secondari, come ad esempio quello “salutare”, per cui la camminata diventa un esercizio muscolare, un movimento che vivifica il corpo indebolito dalla sedentarietà. Pure, essa non è un esercizio ginnico, non è il jogging, quanto piuttosto uno spostamento nello spazio che vuole procurare benessere al corpo, ma senza sforzi troppo violenti; un’immersione in un ambiente benefico e rigenerante; un’esperienza di armonia con la natura e di libertà, com’era nella concezione di Rousseau e dei romantici.
Più che ad un’escursione vera e propria, che conduce verso l’incognito e dura troppo, la passeggiata inoltre somiglia ad una breve avventura di poche ore. Anziché dirigersi verso una meta lontana, essa percorre un luogo, restando in uno spazio familiare, quello della propria cultura. In tale senso, l’andar a «fare una passeggiata» costituisce un’esperienza conoscitiva nei confronti degli spazi geografici a pochi minuti da noi. L’attraversamento di un paesaggio rappresenta un’occasione perché, dall’attenzione ai suoi molteplici aspetti, si possano capire non poche cose della nostra cultura; una cultura fatta anche di poveri fontanili, ponticelli e austere masserie, di muretti a secco e terrazzamenti, di vecchie colture agricole e trazzere secolari che segnano tavolati, colline e fondivalle. Nel contempo, sarà questa stessa passeggiata di poche ore, a farci cogliere anche in che modo questo patrimonio di sapere, tradottosi nello spazio fisico e nell’uso sapiente del territorio, questo antico mondo rurale lasciatoci in eredità, ma dai fragili equilibri, sia stato sottoposto a violenze, manomissioni e disinteresse, in nome di una “modernizzazione” troppo frettolosa e irresponsabile. D’altra parte, chissà che tale esperienza paesistica, nel farci diventare più consapevoli del territorio intorno, non ci faccia sentire pure più responsabili della sua salvaguardia.
Ma il passeggiare dentro un paesaggio è anche, infine, un percorso attraverso il silenzio. E il silenzio, insieme alla bellezza del paesaggio, una via verso sé stessi; una via verso le voci profonde della natura, del passato, dei ricordi; verso una dimensione nuova, in cui la percezione e il vedere si articolano con l’immaginazione e il fantasticare, in un perpetuo gioco del corpo e dell’anima.
—
Tino Franza, docente in un liceo di Noto, è autore di Paesaggi dell’agro netino (CUECM 2007) e del romanzo La lunga marcia. Viaggio sentimentale a Santiago de Compostela (A&B 2008).