Dalla perdita della moglie alla raccolta fondi per l’ospedale «Per far sì che altri abbiano la possibilità che non ha avuto»

Sono stati insieme vent’anni, innamoratissimi. Hanno dato vita a una famiglia legatissima. E ora Simone Marchese, avvocato penalista, insieme ai figli Marta e Marco, vuole esaudire l’ultimo desiderio della moglie Daniela Merenda, legale anche lei, venuta a mancare lo scorso gennaio, a soli 40 anni, dopo una lunga lotta contro il cancro.

Nasce così la campagna di raccolta fondi su GoFundMe. Obiettivo raccogliere 15mila euro per acquistare un videobroncoscopio, strumento che permette di ispezionare attraverso un monitor l’albero bronchiale, da donare al reparto di Terapia intensiva del Garibaldi Nesima di Catania, dove Daniela ha trascorso i suoi ultimi giorni. In soli cinque giorni sono stati raccolti più di quattromila euro ed è tanta la gratitudine di Simone, che racconta a MeridioNews la sua esperienza.

«Lo scorso giugno Daniela cominciava ad accusare una febbriciattola continua, abbiamo fatto accertamenti di tutti i tipi – ricorda il marito -. Radiografie, gastroscopie, analisi varie. Non c’era nulla di anomalo. Tutto risultava perfetto». Finché, a settembre, dopo la visita cardiologica il medico ha suggerito una risonanza magnetica. Da lì viene fuori una massa di due centimetri e mezzo nel mediastino. E allora subito Tac e Pet che ne hanno confermato la presenza. «In tempi record Daniela è stata ricoverata in Chirurgia toracica al Garibaldi di Nesima, dove è stata sottoposta a due biopsie, da cui sembrava risultare solo un microbatterio». Così Daniela arriva in Infettivologia per iniziare la terapia antibiotica. Era ottobre. Solo a dicembre la paziente arriva nel reparto di Medicina interna, dove si scopre che la massa era arrivata a misurare otto centimetri, invadendo la vena cava e l’arteria polmonare. «È un reparto eccezionale, hanno cercato di drenare la massa che nel frattempo, però, si era indurita. E dalla terza biopsia arriva il risultato. Adenocarcinoma polmonare, giunto ormai a uno stadio praticamente irrecuperabile».

Una crisi respiratoria la porta in Terapia intensiva, dove Daniela viene intubata e dove, di fatto, inizia il calvario. «L’hanno sottoposta a due interventi di stent in vena aorta e in vena cava, e ciò le ha consentito di risvegliarsi». Il 30 dicembre, la donna si riprende ed è pronta per essere ricoverata in Oncologia. Ma il 9 gennaio i medici si rendono conto che il tumore, che non era stato diagnosticato a ottobre, aveva preso il sopravvento, creando delle metastasi nel cervello. «Abbiamo cercato di partire subito con la terapia, abbiamo fatto di tutto, ma le metastasi hanno creato un’emorragia celebrale che il 22 gennaio si è portata via Daniela».

«La nota dolente – chiarisce Simone Marchese – per quanto mi riguarda è che mia moglie non ha avuto la possibilità di lottare contro il cancro, perché per mesi non hanno capito quale fosse il vero problema. Provarci sarebbe stato importantissimo per noi e per i nostri bambini di otto e undici anni. Ecco perché quello che è successo deve servire da monito anche per i medici. È importante che si abbia almeno la possibilità di guerreggiare, è importante che riescano a guardare oltre, che riescano a fare una corretta diagnosi e che non lascino niente di intentato».

La perdita di Daniela non ha fermato Simone e la sua famiglia, che oggi vogliono ricordarla attraverso dei gesti che l’avvocata avrebbe sicuramente apprezzato. «Abbiamo fatto una raccolta fondi per il Policlinico e adesso abbiamo lanciato quella per donare un videobronscopio al reparto di Terapia intensiva del Garibaldi, dove Daniela è stata assistita molto bene. Andremo avanti per lei, che era una persona meravigliosa. Raccoglieva fondi per l’Airc senza mai aver avuto un problema di salute, era una grande sportiva, appassionata di boxe, impegnata nel sociale. E sono sicuro che questa sia la sua volontà».

I figli di Daniela hanno detto di volere essere presenti il giorno della donazione all’Ospedale. «Tanti amici hanno donato ma c’è anche gente che non conosciamo che ha preso a cuore questa iniziativa. Penso sia la cosa più giusta da fare, d’altronde mia moglie non me la restituisce nessuno. Rimane un po’ di amarezza per come è andata, tanti interrogativi che non troveranno mai una risposta. La battaglia – conclude il marito della donna – adesso è mantenere vivo il ricordo di una donna eccezionale e cercare di trarre da una tragedia qualcosa di positivo per gli altri. Altrimenti, su questa terra, cosa ci stiamo a fare?»


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