Da imprenditore a parcheggiatore abusivo «Lo Stato? Sa solo pretendere»

Da imprenditore a Santo Domingo a parcheggiatore abusivo a Catania. Paolo, catanese di 64 anni, le ha provate tutte per andare avanti: rappresentante di articoli sportivi e commerciante di astucci per sigari nell’isola caraibica, passando per un’azienda di informatica a metà anni 80, quando ancora i computer si chiamavano 386. Niente. Spirito di iniziativa e coraggio imprenditoriale non sono bastati. «Se mi dessero i soldi per ammazzare qualcuno lo farei» si sfogò nel maggio del 2008 mentre si incatenava per protesta a Palazzo degli Elefanti. Oggi gli è rimasta una piazza, uno slargo da sorvegliare tutti i giorni vicino al viale Vincenzo Giuffrida. «È un’area di proprietà privata ma aperta al pubblico, tecnicamente non sono un posteggiatore abusivo» precisa.

Non la pensa esattamente allo stesso modo la polizia municipale che gli ha notificato un verbale da 700 euro per attività abusiva. «Ma io non pago più niente ad uno Stato che fino a quando ho lavorato ha preteso, e quando ho avuto bisogno mi ha abbandonato». Tre anni a Santo Domingo, dal 1996 al 1999, a cercare una fortuna che per un po’ Paolo riesce pure a trovare. «Insieme a due soci italiani e a un dominicano – racconta – avevamo fondato un’azienda che produceva contenitori per sigari». Le cose all’inizio funzionano, i clienti aumentano. Poi uno dei soci che si crede più furbo degli altri fa inceppare il meccanismo. L’azienda entra in crisi per mancanza di liquidità, i clienti ad uno ad uno se ne vanno e Paolo a 51 anni è costretto a tornare in Italia. «L’errore più grande della mia vita» lo definisce adesso.

Arriva a Catania con una valigia e trentamila lire in tasca. Per un anno rimane invisibile per lo Stato italiano, poi, nel 2000, il cambio di residenza (da Santo Domingo ad un appartamento in affitto nel centro di Catania) ed ecco materializzarsi le istituzioni. Nelle vesti di esattore. «Mi venne addirittura notificato il pagamento dell’Ici per un immobile che avevo venduto nel 1996».  Ma Paolo non si arrende.
Come gli adolescenti ai primi lavori, inizia a fare volantinaggio prima di accettare l’ennesima scommessa della sua vita. «Nel 2001 un mio amico crea un’azienda per l’organizzazione di convegni medici e io comincio ad occuparmi della parte grafica del materiale informativo». Un lavoro che per quattro anni gli garantisce circa mille euro al mese e una stabilità illusoria, spezzata ancora una volta dagli oscuri magheggi di un vorace amministratore delegato. L’azienda è costretta a chiudere e per Paolo trovare un nuovo lavoro diventa impossibile.

«Ma la crisi non c’entra – sottolinea – la verità è che in Italia se hai cinquant’anni e cerchi un’occupazione, ti ridono in faccia. Eppure nella Costituzione c’è scritto che tutti i cittadini hanno pari dignità e che la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale». La forza della disperazione lo spinge ad incatenarsi davanti a Palazzo degli Elefanti e a scrivere ai presidenti della Repubblica e del Consiglio. Giorgio Napolitano risponde attraverso la sua segreteria, Berlusconi no. L’unico ad aiutarlo è padre Valerio Di Trapani, presidente della Caritas Diocesana, un sostegno prezioso fino all’arrivo dell’ultima proposta. «Mi hanno chiesto di fare il parcheggiatore e io ho accettato: riesco a mettere da parte fino a 900 euro al mese, 320 li pago di affitto». Paolo adesso passa le giornate tra la «sua piazza» e il monolocale di 30 metri quadrati dove vive da solo. Il futuro? «Non prenderò mai una pensione, rimanendo in Italia sarei costretto a suicidarmi o diventerei pericoloso, perché non si può chiedere ad una persona di morire per rimanere onesta».

[Foto di Antolazzo]


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