Da Catania il primo pane fatto con le fibre di agrumi «Così si riducono gli sprechi e si fa bene alla salute»

Quando arriverà sulle tavole è ancora presto per dirlo, dipende dalle strategie aziendali, dalla comunicazione e dalla richiesta dei consumatori. Ma, promettono gli esperti, il pane di grano arricchito con fibre di agrumi Crea, benefico ed ecologico, sarà alla portata di tutti. «I costi non aumenteranno in maniera eccessiva nonostante i prodotti di qualità utilizzati per produrlo, di sicuro non più di altri pani fatti con farine particolari che raddoppiano o triplicano i costi rispetto al normale». Parola di Biagio Fallico, docente di Scienze e tecnologie alimentari del dipartimento di Agricoltura dell’università di Catania. È lui ad avere preso parte a un gruppo di lavoro composto da esperti dell’ateneo di Catania insieme a uomini del Crea di Acireale, un centro di cerealicoltura. Tutti insieme hanno dato vita al primo pane di grano duro arricchito con fibre di arance e limoni.

Finanziato grazie a un’iniziativa della Regione Siciliana e realizzato in collaborazione con la cooperativa specialista nella panificazione Val Dittaino il progetto, di cui di recente ha parlato la rivista Frontiers in nutrition, ha due obiettivi principali: «Da un lato ridurre la quantità di sale assunta con il consumo di pane, perché i dati ci dicono che il pane e gli altri prodotti da forno sono responsabili di una buona percentuale della quantità di sale che assumiamo quotidianamente – spiega Fallico – Per questo volevamo mettere a disposizione della gente un pane iposodico. Poi volevamo arricchire un pane di semola di grano duro con un valore aggiunto, ovvero le fibre di agrumi, in particolare di arancia rossa e limone, che comprendono composti bioattivi interessanti dal punto di vista salutistico».

Le fibre alimentari aiutano, infatti, a mantenersi in salute e contribuiscono a prevenire le malattie cardiovascolari e l’insorgenza del diabete di tipo 2. Ma c’è di più. Il pastazzo formato da buccia, polpa e semi è un sottoprodotto della lavorazione degli agrumi che presenta elevati costi di smaltimento e problematiche ambientali. Se, infatti, da una parte queste sostanze sono interessanti nella produzione dei succhi, dall’altra nel momento in cui non vengono utilizzate e bisogna smaltirle diventano inquinanti. Ecco perché si punta anche alla valorizzarle, risolvendo così due problemi con un’unica soluzione.

«Quando si parla di prodotti da forno e le aziende propongono cose considerate più accattivanti, come i panini per gli hamburger», continua il docente universitario. Che aggiunge: «In questo momento, quando si decide di eliminare un alimento dalla propria dieta i primi a essere sacrificati sono proprio pane e pasta, una mossa che molti colleghi medici considerano un errore, perché non c’è niente di più semplice e sano di una fetta di pane, che si rischia di sostituire con alimenti molto più complicati e dannosi per la salute». E i giovani quanto ne sono consapevoli? «Da un lato c’è un interesse enorme nei confronti dell’alimentazione, dall’altra c’è un fai da te spaventoso e molto pericoloso. Con le innumerevoli diete miracolose che circolano, spesso si riduce tutto al prendere integratori alimentari o eliminare i prodotti sbagliati e c’è il rischio di fare delle diete molto sbilanciate. Purtroppo diamo ascolto più ai santoni o ai trascinatori che promettono miracoli senza avere competenze che ai veri esperti della materia».

Esperti come quelli del team che ha messo a punto il nuovo pane spendono giorni interi per offrire il massimo della qualità ai consumatori. «Siamo arrivati al risultato finale dopo prove su centinaia di chili di produzione, miscelando diverse quantità, ordine e proporzione per la riuscita perfetta ed effettuando anche prove di analisi sensoriale per far in modo che il pane fosse uguale o addirittura più apprezzato rispetto al prodotto di riferimento a cui siamo abituati». Ma, conclude il docente, c’è ancora molto da fare nell’ambito dell’alimentazione, anche perché è necessario procedere con i passi successivi. «Purtroppo, però, il lavoro dei ricercatori dipende molto anche dai fondi che abbiamo a disposizione e non sempre è così facile reperirli». 


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