Da un quarto di secolo la Mitteleuropa l'ha adottata: per la cantante e musicista catanese Etta Scollo vivere a Berlino non vuol dire rinunciare alle proprie radici (da 'Eventi', allegato a 'La Sicilia)
Da Catania a Berlino (e ritorno)
«Voglio solo vivere per l’attimo, in cui sentire l’esistenza come melodia». Questa frase del maestro degli aforismi, il transilvanico Émile Michel Cioran dà il benvenuto al sito di Etta Scollo ( www.ettascollo.com ), cantante e musicista catanese dagli Anni 80 adottata dalla Mitteleuropa. Prima l’Austria dove arriva per studiare al Conservatorio di Vienna e dove mette a frutto l’amore per il blues e il jazz nato negli anni dell’Università – ha studiato Architettura – a Torino. Poi la Germania, prima Amburgo e poi stabilmente Berlino, dove si dedica alla musica contemporanea di ricerca e alle colonne sonore. La musica, quindi, nel Dna della Scollo che da qualche anno porta l’artista siciliana a riscoprire le radici siciliane nella riproposizione del canzoniere di Rosa Balistreri. Ad agosto è andato in scena a Palermo lo spettacolo corale “Alavò” basato sulle ninnananne della tradizione siciliana, progetto coordinato musicalmente dalla Scollo ed eseguito da otto interpreti del folk isolano.
Tra Austria e Germania, da un quarto di secolo lei è una siciliana mitteleuropea. Quali sono le affinità e le divergenze tra siciliani e mitteleuropei?
«Personalmente mi ha sempre incuriosito la diversità dei paesi mitteleuropei. Il modo quasi opposto a quello siciliano di affrontare la vita in tutti i suoi aspetti. Apprezzo molto la sincerità, quel modo di essere “diretti e asciutti” dei nordici. Il modo chiaro di porsi soprattutto nel lavoro e il senso dell’organizzazione (ma anche la letteratura e la musica) mentre in Sicilia mi sembra che prevalga la capacità di mantenere rapporti di interscambio sul piano personale/affettivo, atteggiamento che si riversa nei rapporti di lavoro, non sempre felicemente. C’è molto rispetto e senso di gratitudine da parte dei tedeschi per tutto ciò che è mediterraneo, con un forte senso di autocritica. Trovo questo atteggiamento quasi commovente a volte buffo e comunque ammirevole. Ho perfino sentito tedeschi lodare il “caos dei siciliani” di cui loro non son capaci. E’ questo atteggiamento che a mio avviso crea un desiderio di affinità da parte dei tedeschi».
Delle sue radici cosa le manca?
«Mio padre era originario di Licodia Eubea, mia madre catanese. Anch’io sono nata a Catania, a Ognina. Mi manca il mare e il sole. Sì… proprio un clichè! Di Licodia Eubea mi manca il pane che faceva mia zia e la ricotta calda, questa era la mia colazione. Ho un ricordo molto “forte” della Pasqua celebrata a Licodia. Da bambina sognavo spesso di perdermi durante la processione, fra i vicoli del paese. Mi manca la sfrontatezza dei catanesi. Il loro modo ironico di mercanteggiare alla “fera ‘o luni” dove andavo regolarmente».
Dopo la scomparsa dei suoi la decisione di tornare alle origini in musica.
«I miei sono scomparsi a distanza di due anni l’una dall’altro. Il vuoto che essi hanno lasciato si è rivelato molto più grande di quanto potessi immaginare perché il loro affetto e il modo in cui si proiettavano e dedicavano ai “figli lontani” comprendeva una parte di me, sconosciuta a me stessa, vista e vissuta dal loro punto di vista. Il mio è dunque un ritorno e un recupero che mi riguarda molto intimamente pur rendendomi conto che è una forma di sublimazione, forse l’unica motivazione creativa (in quanto emotiva) verso una poesia e una sicilianità dell’immaginario che mi coinvolge in prima persona».
Che idea hanno in Germania di noi siciliani?
«Quando dico “Sicilia” mi sento rispondere “ah! Mafia!”. Anche se a questa affermazione ne segue un certo sorriso sdrammatizzante. Se c’è una cosa che i tedeschi e i siciliani hanno in comune è proprio il pregiudizio: loro hanno il nazismo, noi la mafia. Due piaghe, purtroppo, reali e concrete, al dilà del pregiudizio stesso».
Si è mai sentita un’emigrante, anche se intellettuale?
«L’anno scorso feci un concerto per il 50° anniversario dell’emigrazione in Germania nella “Haus der Geschichte” a Bonn. Nella mostra era documentata la storia dell’emigrazione dal 1955 a oggi e i suoi sviluppi e cambiamenti nella società tedesca. Ho avuto modo di ascoltare i racconti dei primi emigrati siciliani, a Colonia o a Wolfsburg, ma anche le esperienze di illustri tedeschi come Otto Schily che ama viaggiare in Italia e parla l’italiano. Per concludere con le parole di una mia cara amica attrice residente a Bremer (Francesca De Martin) noi oggi siamo “stranieri di lusso”. La “moda” dell’Italia ha fatto sì che gli Italiani (i tedeschi non distinguono molto fra siciliani e romagnoli) siano molto apprezzati e ben visti. E son molti i tedeschi che adottano ormai rituali italiani nel quotidiano come la caffettiera italiana o ordinare un “Latte” (abbreviativo di latte macchiato con 4 cm di schiuma). Non mi sono dunque mai sentita un’emigrante ma mi domando: quando e come è avvenuto quel momento di “passaggio” in cui l’operaio siciliano della Volkswagen, che riscaldava i fagioli in scatola sul fornellino a gas nella solitudine della sua stanzetta, è diventato proprietario del grande ristorante nel quartiere Mitte di Berlino? Come fosse un tabù nessuno ne parla. Anche gli italiani della prima generazione sembrano averlo dimenticato».
Due mesi dopo: che probabilità ci sono che il progetto Alavò trovi “una ribalta” all’estero?
«”Alavò” è ancora troppo “giovane” per poter fare pronostici anche se ha tutte le carte in regola per fare una buona strada, da Canicattì a Colonia e chissà… Comunque, a mio avviso, dovrebbe prima crescere dove è nato per poi andare oltr’Alpe. Io sono responsabile solo degli arrangiamenti e della produzione artistica, che secondo me è riuscita molto bene anche grazie alla appassionata partecipazione di tutte le interpreti femminili e dei musicisti».
Ha mai pensato di lasciare Berlino per tornare a Catania?
«Voglio vivere a Berlino ma intensificare le visite in Sicilia e, se possibile, crearmi, in futuro, una seconda sede in cui poter lavorare
periodicamente, questo si, e continuare a fare progetti in un certo contesto. Ci sono alcune proposte per il 2007, le vaglieremo. Amo Berlino, città culturalmente vivissima, e proiettata verso il futuro. Amo la Sicilia, terra di memoria antichissima e di artisti geniali».
Ci dobbiamo salutare allora in tedesco con un Aufwiedersehen…
«No, no, ‘ni viremu…»