Cosa nostra, le stragi e le menti raffinatissime Ingroia: «Indagini ostacolate e verità assente»

«La verità sulle stragi è assente e le famiglie delle vittime sentono in modo più bruciante questa mancanza. È assente perché la collettività in generale e le istituzioni in particolare non si sono impegnate abbastanza». Sembra una vita fa ma era solo il 2012 quando Antonio Ingroia, già procuratore aggiunto al tribunale di Palermo ed ex membro della Procura Distrettuale Antimafia, abbandonava la carriera in magistratura per fondare il movimento Rivoluzione Civile, poi confluito in Azione Civile.

Da allora non sono certo una novità le sue esternazioni sulla trattativa Stato-mafia e sulle menti raffinatissime di cui cosa nostra sarebbe stata solo il braccio armato ma il venticinquesimo delle stragi di Capaci e via d’Amelio, «una scadenza importante, un quarto di secolo», è l’occasione per rilanciare ancora una volta, durante un incontro con studenti di liceo all’Orto Botanico, l’appello per la verità sui mandanti. «Una verità intera, non a brandelli, a coriandoli – intimava Rita Borsellino dal palco della diretta FalconeeBorsellino su Rai1 la sera del 23 -. Ho visto troppa enfasi per questo venticinquesimo anniversario: venticinque è solo un numero che viene dopo il ventiquattro».

«Dobbiamo pretendere con forza la restituzione di una verità, non una qualsiasi, non una mezza verità – rilanciava al suo fianco Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo -, ma quella utile a dare un nome e un cognome alle menti raffinatissime, come le ha definite mio padre, che hanno permesso il passare infruttuoso delle ore immediatamente successive alle esplosioni, ore fondamentali per le acquisizioni necessarie per uno sviluppo delle indagini». Questo «per me e la mia famiglia non può passare in secondo piano, come non può passare in secondo piano che per le false piste investigative ci sono stati uomini che hanno scontato ingiustamente anni di detenzione».

Da quello stesso palco il presidente del Senato Pietro Grasso è arrivato a dire che «ci vorrebbe qualche altro collaboratore di giustizia, interno alla mafia, ma anche esterno, un collaboratore di Stato» perché «qualcuno sa». Per l’ex pm antimafia Antonio Ingroia, una vita professionale spesa accanto a Borsellino, la spiegazione è semplice: «Basta pensare all’ostilità nei confronti di certe indagini che hanno cercato di scoprire le complicità istituzionali delle stragi, gli ostacoli alle indagini sulla trattativa e nel contempo i tanti depistaggi. Per anni è stata veicolata, ad esempio, una non verità sulla strage di via d’Amelio, come consacrato da sentenze, e soltanto il pentito Gaspare Spatuzza – ricorda Ingroia – svelò che la verità era un’altra. E fra l’altro non è ancora venuta fuori del tutto. Spatuzza e altri hanno parlato di presenze di uomini non della mafia che contribuirono anche all’organizzazione materiale della strage di via d’Amelio, così come ci sono tracce nello stesso senso per la strage di Capaci».

«Ogni 23 maggio – conclude il leader di Azione Civile – tanti palermitani sentono la necessità di far sentire la loro vicinanza ma il problema inizia dal giorno dopo, dal 24 maggio in poi, perché le emozioni di un giorno si devono trasformare in concreta azione quotidiana. E non tutti lo fanno, anche perché avvertono le istituzioni come distanti».


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