Da un lato un'organizzazione mafiosa che, per citare la Dda, «controlla l'intera zona centrale della città». Dall'altro denunce, ribellioni e «un'atmosfera diversa» che al contrario rassicurano. «Conosco bene questa città, qui ho vissuto 15 anni sotto scorta»
Cosa nostra ieri e oggi, tra blitz e «realtà parziali» «La criminalità esiste, ma non è certo tutta mafia»
Le numerose operazioni antimafia condotte dalla nostra Dda se da un lato assestano ripetuti colpi alle cosche mafiose che spasmodicamente cercano di rigenerarsi, dall’altro sembrano quasi restituire la fotografia in bianco e nero di una città tenuta ancora sotto scacco dalla mafia. Stando, almeno, a quanto scritto proprio nelle carte delle indagini condotte per colpire Cosa nostra. Come in quelle del mega blitz del dicembre 2018 che ha mandato all’aria la cosiddetta nuova cupola della mafia, in cui si legge che l’organizzazione mafiosa «ricomprendendo le famiglie mafiose di Borgo Vecchio, Palermo Centro e Porta Nuova, controlla di fatto l’intera zona centrale della città in cui sono presenti innumerevoli attività imprenditoriali e commerciali che costituiscono un valore aggiunto in termini economici e sociali del capoluogo. Le stesse – c’è scritto più avanti – sono state oggetto, da sempre, di interesse mafioso, in diverse forme e con diverse modalità: basta ricordare che nella predetta zona di riferimento sorgono alcuni tra i più rinomati esercizi commerciali della città, tre mercati storici cittadini, Ballarò, Capo e Vucciria, nonché il porto».
Uno scenario preoccupante, che fa pensare se non a una città in mano alla mafia, come minimo al suo centro storico. Tanto che Confartigianato, pochi giorni fa, ha deciso di costituirsi parte civile al processo scaturito dal blitz di un anno fa. Un processo di proporzioni considerevoli, che vede alla sbarra oltre sessanta imputati tra gregari, boss, sodali e addirittura il nuovo capo dei capi, Settimo Mineo, quello che per l’accusa avrebbe presieduto la nuova Commissione interprovinciale. Uno scenario che fa sembrare che si debba quasi ripiombare da un giorno all’altro in una Palermo anni ’80, antica e che purtroppo ha lasciato strascichi sino ad oggi. Stiamo per tornare a un morto al giorno? «Non voglio contestare quanto scritto dai magistrati, non ho gli strumenti del controllo investigativo del territorio per poter dire che quello che loro scrivono sia giusto o sbagliato. Mi permetto però di dubitare che la situazione sia così drammatica», azzarda l’avvocato Stefano Giordano, di tutt’altro avviso rispetto alla Palermo che vive oggi.
«Attenzione – dice subito -, la mafia non va mai sottovalutata, come ogni altro fenomeno criminale. Intanto però quelle cose sono state scritte da magistrati inquirenti, è quindi una realtà parziale, poi ci saranno dei giudici nei vari processi a dire se effettivamente sia così o meno, come fu all’epoca del maxi processo. Mi sembra che le parole usate enfatizzino eccessivamente. Sicuramente ci sono fenomeni criminali, bisogna vedere se poi sono tutti di stampo mafioso», osserva l’avvocato. «Che ci siano delle bande o delle gang che possano controllare il territorio in maniera più o meno pregnante succede, purtroppo. È normale che ci siano fenomeno delinquenziali in grandi città o metropoli, ma bisogna vedere poi la qualità del fenomeno criminale, la sua portata economica e strutturale». Lui però sembra fidarsi molto delle sue impressioni: Palermo non corre alcun rischio di ritrovarsi dall’oggi al domani indietro di 30 anni. «L’atmosfera è diversa, è cambiata. A me sembra una prospettazione ipertrofica, quella fatta dagli inquirenti. Ma non voglio certo sminuire né l’importanza né la delicatezza del fenomeno».
«Sono prospettazioni accusatorie – spiega ancora -, la Procura va presa per quella che è, muove un’accusa, ma quello che dice non va preso come fosse la parola della Bibbia. Inoltre, non credo che in questi anni non sia successo niente. Ma sembra quasi, a leggerli, che da allora a oggi non sia così». Non solo i numerosi colpi sferrati ai più importanti mandamenti di Palermo e provincia, ma anche le sempre più numerose denunce delle vittime del racket (anche dagli insospettabili imprenditori stranieri, che hanno dovuto imparare subito il significato di Cosa nostra) sembrerebbero smentire infatti lo scenario tanto preoccupante restituito, a volte, dai contenuti e dagli approfondimenti di certe indagini. Solo allarmismo? «Io vedo una gioventù che, a torto o a ragione, con modi che possono piacere o meno, ha una maggiore consapevolezza del fenomeno, della realtà, delle storture che questo crea nelle pubbliche amministrazioni, nella società civile del paese. Io non sono così pessimista, la mafia non ha vinto assolutamente. Tant’è che alla presa di coscienza che vedo io oggi corrisponde tanta gente che si ribella», dice infatti l’avvocato Giordano.
«Ci fu un questore una decina di anni fa che sosteneva che la lotta alla mafia era stata vinta: ecco, bisogna stare attenti anche a generalizzazioni come questa – suggerisce -. Vale sia in senso negativo che positivo. Da fare ancora ce n’è tanto in fatto di lotta alla criminalità, ma credo che la qualità di questa criminalità sia ben diversa da quella che abbiamo vissuto noi negli anni ’80-’90. Ricordiamo che a parlare così sono i magistrati della Procura, che hanno un ruolo e una funzione, quella di fare indagini e accusare. Poi ci sono le verità dei giudici». Una figura che lui conosce piuttosto bene. E non solo per il mestiere che fa. «Conosco bene la realtà di questa città, purtroppo, per averci vissuto quindici anni con la scorta. Mio padre è stato il presidente del maxi processo, la mia vita è stata segnata da questa cosa – racconta -. Questo per dire che bisogna dare il giusto peso alle cose. Non è vero che non è cambiato niente. Questo messaggio quanto può giovare? Non lo capisco. La città è cambiata, nel bene e nel male, e Cosa nostra non è più quella di vent’anni fa».