«Qua se la cantano e se la suonano, essendo a statuto speciale, il presidente del parlamento ha poteri infiniti, ok? In accordo col presidente della Regione». È la prima lezione del corso per fare business in Sicilia, secondo Sabrina De Capitani, portavoce dimissionaria del presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gaetano Galvagno, coinvolta con lui nell’inchiesta per […]
Corruzione in Regione, De Capitani anche nell’edilizia: «Il presidente Galvagno ha poteri infiniti». Tra borse Prada, banche e campi da golf
«Qua se la cantano e se la suonano, essendo a statuto speciale, il presidente del parlamento ha poteri infiniti, ok? In accordo col presidente della Regione». È la prima lezione del corso per fare business in Sicilia, secondo Sabrina De Capitani, portavoce dimissionaria del presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gaetano Galvagno, coinvolta con lui nell’inchiesta per corruzione che vede tra gli indagati anche l’assessora regionale al Turismo Elvira Amata. Una lezione che, neanche a dirlo, passerebbe proprio da lei, plenipotenziaria con i contatti giusti. Da spendere non solo nel settore degli eventi, come raccontato in queste settimane, ma anche nel mattone. Tramite gli affari con Vincenzo Marchese Ragona, ingegnere e imprenditore edilizio agrigentino, o più brevemente «palazzinaro», come lo definisce De Capitani. Nel fitto scambio tra i due, emergono compravendite, regali, intermediazioni e anche il tentativo di trovare un posto alla sorella dell’imprenditore tramite il capo di gabinetto di Galvagno. Non l’unico posto di lavoro a cui pensa De Capitani, nel doppio binario tra affari e politica.
I campi da golf negli hotel di lusso: «Ti devi rivolgere al presidente»
De Capitani e Marchese Ragona non si limitano a mettere su gli affari. Ma si intrufolano anche in quelli altrui. Come il progetto per la costruzione di due campi da golf in Sicilia, in altrettante strutture alberghiere di lusso, nel Ragusano e nel Siracusano, per cui un imprenditore starebbe trattando dei fondi tramite la società internazionale Deloitte. Caso vuole che De Capitani abbia un amico che lavora proprio lì. Un «contratto aperto», dice lei. «Rapporti occulti, non censiti al fisco», traduce la guardia di finanza. Così Marchese Ragona le propone di «fargli mettere un po’ di frizione», ostacolarlo nell’ottenere il finanziamento, a meno che De Capitani «e il suo amico siciliano ci mettano una buona parola – dice Marchese Ragona – e ritorniamo. Usciamo dalla porta e rientriamo dalla finestra, capito?». E così la portavoce sciorina all’amico il suo curriculum recente «da lobbista» e un piccolo compendio di come fare business sull’Isola: «Vuoi andare a parlare col presidente che ti porta direttamente lui da La Russa o addirittura dalla Santanchè? – dice De Capitani – Un conto è essere presentato dal presidente dell’Ars, gli parli del tuo progetto, sai per lui è una cosa figa… La prima persona a cui ti devi rivolgere è il presidente del Parlamento o della Regione, punto!».
L’apertura di una banca e i posti di lavoro: «Gliela faccio aprire io col presidente»
Ma Sabrina De Capitani sembra non pensare mai solo per sé. Tra gli affari che racconta di curare c’è anche l’apertura di una filiale della banca Finint, a Palermo o a Catania, in base al mercato e non solo. «Gliela faccio aprire io col presidente – spiega la donna – Essendo la portavoce del parlamento, posso arrivare a tutti i numeri di telefono che voglio e te li passo tutti. Ma tutti eh, quando dico tutti, tutti!», si vanta col suo contatto in banca. «Se non raccogliamo 50 milioni di euro in due anni siamo dei coglioni, scusami – è l’entusiasta risposta – Insomma, ci facciamo una bella pensione tutti». Ma a percentuale, sui capitali mossi. Cosa che non rientra tra i piani di De Capitani: «Facciamo come partita iva, ci pago le tasse, ma io devo avere il mio fisso a fine mese – spiega – Se no non mi siedo neanche, fate voi. E vi chiuderò tutte le porte in Sicilia». Lei ci mette le conoscenze e questo basta e avanza, chiarisce. Anche perché per altre valutazioni, con la scelta tra Catania e Palermo per la nuova filiale, esistono referenti più ferrati: «Vi faccio parlare anche col presidente che è molto più sul territorio – spiega De Capitani – Anche lui, da un punto di vista professionale, se vuole può… potrebbe mettere lì della gente». Un riferimento clientelare non troppo velato che, comunque, diretta come sempre, la portavoce specifica meglio: «Di questa cosa ne ho già parlato anche a Gaetano, perché potrebbe essere una cosa bella anche da un punto di vista di assunzione di personale, eccetera».
L’interesse per Palazzo Dagnino tra Palermo e Vaticano
Ci sono poi gli affari diretti del duo De Capitani-Marchese Ragona. Come l’interesse per Palazzo Dagnino, a Palermo, di fronte al teatro Massimo. Di proprietà dell’Arcidiocesi di Palermo, l’edificio rientra tra le donazioni e i lasciti testamentari alla chiesa, che può decidere di affittarli, con manifestazioni d’interesse a evidenza pubblica, purché il progetto miri a preservare il patrimonio e valorizzarlo. Se possibile, creando anche posti di lavoro. Tutti obiettivi interessanti per «questa accoppiata – dice Marchese Ragona – che già comincia a far sortire i suoi primi frutti». Mentre l’ingegnere lavora per un confronto con l’Arcidiocesi di Palermo, De Capitani apre la via per un incontro in Vaticano. Carta, quest’ultima, da giocare solo nel caso in cui «a Palermo vogliono cunzare la festa», facendo sballare i loro piani. Anche perché il monsignore romano responsabile del patrimonio della chiesa, li avvertono, «non ama molto l’intervento dei politici». Intervento che però si rivela necessario, perché «quelli là della Curia di Palermo manco mi hanno cacato», spiega Marchese Ragona. «Allora dobbiamo entrare in gioco noi?», chiede De Capitani. Che, pare, non avesse colto un segnale da ben quattromila euro di valore: una borsa di Prada, tempestata di cristalli, ricevuta in dono proprio dall’imprenditore. «E la borsa a che serviva, gioia, scusa? Te la ricomprerai cento volte con i soldi che faremo», dice Marchese Ragona alla portavoce di Galvagno.
L’affare del Pio Albergo Trivulzio a Milano: «Se mi cacci i soldi, ci sto»
Un regalo che De Capitani aveva equivocato. «Si è innamorato perdutamente di me», racconta a un’amica. Mettendo in chiaro con lui, in maniera colorita, che non avrebbe ricambiato. Dubbio legittimo, che suscita anche nel presidente Galvagno – informato del costoso regalo – l’ironica ipotesi di un’ulteriore carriera da intrattenitrice: «Eh, ma tu c’hai queste cose grazie a me», sottolinea il politico. Ad ogni modo, a chiarire ci pensa lo stesso Marchese Ragona: «Ma sei scema? Tu mi hai fatto fare un business». Una risposta che De Capitani sbaglia di nuovo a interpretare: non un regalo per un affare concluso, ma un anticipo su un favore ancora da chiedere, per arrivare in Vaticano appunto. Facile confondersi, considerato che i due avevano in ballo diverse cose. Tra cui una importante gara d’appalto bandita dal Pio Albergo Trivulzio di Milano, tra le più importati strutture sanitarie italiane. Anch’essa con diversi immobili e terreni frutto di lasciti e donazioni, assegnati con bandi pubblici a prezzi di mercato. «Sto prendendo casa per una stronza che conosci», scherza l’imprenditore con De Capitani. Che gli avrebbe procurato l’affare di un palazzo in piazzetta Mirabello, a Milano, tramite un’amica. «Sì, ma io voglio i soldi… – è la poco romantica risposta di De Capitani, mentre è in vacanza alle Maldive – Se mi cacci i soldi, quando vendi le cose, ci sto, se no nulla». Messaggio ricevuto: «Chiamo il commercialista».