Palazzo degli elefanti si è svegliato ieri con il mal di testa. E anche oggi non va meglio: l'inchiesta che ha travolto il settore dell'amministrazione catanese che si occupa della spazzatura lascia ai cittadini non pochi dubbi sul futuro, e qualche incomprensione sul passato. Abbiamo provato a fare chiarezza
Corruzione e rifiuti, cosa è successo e cosa succederà Appetiti sull’appalto «secondo solo a quello di Roma»
Palazzo degli elefanti si è svegliato ieri con il mal di testa. Gli uomini della direzione investigativa antimafia sono andati a mettere i sigilli negli uffici dei tre vertici del Comune di Catania finiti coinvolti nell’inchiesta Garbage affair della procura: Orazio Fazio, responsabile del settore Nettezza urbana, arrestato; Massimo Rosso e Leonardo Musumeci, rispettivamente ragioniere generale e dirigente dell’Ecologia, interdetti dai pubblici uffici per un anno. In una volta sola, viene meno l’intero settore amministrativo che gestiva l’appalto per l’igiene urbana nel territorio etneo. Il tutto, poi, in un momento particolarmente complicato: quando, cioè, c’è da concludere il nuovo bando settennale e da rinnovare la gara-ponte finita sotto la lente d’ingrandimento della magistratura catanese. Il sindaco Enzo Bianco ha dichiarato che assumerà «ogni iniziativa amministrativa coerente con lo svolgimento dell’inchiesta». Ma nei fatti rimangono le domande su cosa accadrà a Catania da questo momento in poi. Avremmo voluto porle all’assessore all’Ambiente Rosario D’Agata, ma il suo telefono squilla a vuoto da ieri mattina. Per questo, abbiamo deciso di provare a rispondere noi.
Cosa accadrà nella raccolta dei rifiuti del Comune di Catania, adesso che è stato arrestato il patron di una delle due ditte che gestiscono il servizio?
Con ogni probabilità, i cittadini non vedranno variazioni apprezzabili. Sia Senesi sia Ecocar, che insieme si occupano della raccolta della spazzatura, sono attualmente commissariate per via di due provvedimenti interdittivi antimafia distinti. Uno emesso dalla prefettura di Fermo (quello per Senesi) e uno emesso dalla prefettura di Latina (quello per Ecocar). Per questo motivo, l’arresto di Antonio Deodati, proprietario di Ecocar, non cambia nulla per l’impresa, che è – per il momento – nelle mani dello Stato. In altre parole: la raccolta dovrebbe continuare come sempre, con i disservizi di sempre. Qualcosa potrebbe accadere dal punto di vista politico, invece. Con l’indagine a carico di persone a cui il sindaco aveva dato parecchio potere, la ricandidatura di Bianco alle imminenti Comunali è più in bilico che mai. In tanti hanno chiesto le dimissioni sue e dell’assessore D’Agata.
Che cosa sono la «gara ponte» e il «mini bando» di cui si parla tanto? Cosa c’entrano con la gara d’appalto da 350 milioni di euro, definita «la seconda più importante d’Italia dopo quella di Roma»?
Per rispondere a queste domande bisogna fare qualche passo indietro e tornare a febbraio 2016. Il 19 di quel mese è scaduto il contratto quinquennale per la raccolta della spazzatura nel Comune di Catania. Quella gara d’appalto, bandita dall’ex sindaco Raffaele Stancanelli, era stata vinta dal consorzio composto dalle aziende Ipi e Oikos. Entrambe, però, avevano ricevuto interdittive antimafia, così a gestirle erano arrivati dei commissari nominati dall’allora prefetta di Catania Maria Guia Federico. Alla scadenza della vecchia gara, il Comune di Catania avrebbe dovuto avere già espletato la gara nuova, della durata di sette anni e del valore di oltre 320 milioni di euro (poi aumentati fino a 350 milioni). Soltanto che non è andata così e, per motivi legati alla sanità pubblica, è stato prorogato più volte il contratto di Ipi-Oikos. Unilateralmente, nel senso che lo ha deciso il Comune e Ipi-Oikos ha dovuto accettare. Nel frattempo, però, le due aziende hanno fatto ricorso al tribunale amministrativo regionale e hanno ottenuto una vittoria: il Tar ha imposto al Comune di smetterla con i continui rinnovi e di fare una gara d’appalto transitoria per liberare le due imprese. Si tratta, appunto, della «gara ponte», chiamata anche «mini bando» per via della sua dimensione ridotta: sarebbe dovuta valere solo per 106 giorni, con l’opzione del rinnovo per due volte.
Se è stato il Tar a imporre questa procedura al Comune, dove sta l’illecito?
La «gara ponte» è stata pubblicata in un periodo particolare: tra Natale 2016 e l’Epifania 2017. Molte aziende hanno lamentato da subito l’impossibilità di preparare i documenti necessari in tempo. E infatti a Palazzo degli elefanti è arrivata una sola offerta, quella del raggruppamento Senesi ed Ecocar, per brevità chiamato Seneco. È stato Seneco, da unico contendente, a vincere il mini bando. Sebbene, secondo la magistratura, non ne avesse i requisiti. E c’è di più: ricordate Ipi? Il proprietario è lo stesso di Ecocar, cioè Antonio Deodati. Anche se l’amministratore delegato di questa seconda azienda risulta essere suo cugino Francesco. Così, in buona sostanza, come sintetizzato in un’intercettazione della procura tra Leonardo Musumeci e Orazio Fazio, «le nuove aziende sono quelle vecchie». E aggirano di fatto l’interdittiva antimafia che dal 2014 pendeva sulla testa di Ipi, rendendole quindi impossibile partecipare a nuove gare. Questo mini bando della durata di 106 giorni, comunque, è stato prorogato già due volte e, nei prossimi giorni, dovrebbe arrivare la terza proroga. Finora il Comune di Catania ha affidato a Seneco lavori per 36 milioni di euro, che facilmente arriveranno a 48 milioni, come anticipato mercoledì da questa testata.
Quindi la gara d’appalto per i prossimi sette anni e che vale 350 milioni di euro non c’entra nulla?
Per il momento c’entra marginalmente. Quello che si sa è che Antonio Deodati, in un’intervista esclusiva rilasciata a MeridioNews, aveva dichiarato di volere partecipare alla gara d’appalto settennale, già andata deserta per tre volte. E sappiamo anche che Massimo Rosso, attualmente indagato e accusato di corruzione poiché definito al servizio di Deodati (che pagava l’affitto di casa delle figlie di Rosso a Roma), oltre a essere il ragioniere generale del Comune di Catania è anche il presidente della Srr Catania, acronimo di Società regolamentazione rifiuti. Si tratta di una società consortile partecipata dai Comuni dell’area metropolitana di Catania che, secondo la legge, ha il compito di controllare che la gara d’appalto sia regolare e che i piani d’intervento (cioè gli enormi faldoni di documenti che descrivono nel dettaglio come deve essere effettuata la raccolta della spazzatura nelle città) rispondano a certi standard qualitativi. In altri termini, Massimo Rosso era il rappresentante dell’ente terzo che avrebbe dovuto controllare che a Palazzo degli elefanti le cose venissero fatte a regola d’arte.
Ricapitolando: nell’attesa che si facesse la gara d’appalto settennale, c’era un’altra gara più piccola. Vinta dalla stessa azienda, almeno nei suoi vertici, che aveva gestito i rifiuti per cinque anni, dal 2011 al 2016. Chi doveva occuparsi di tutte queste vicende è adesso indagato per reati che vanno dalla corruzione alla turbata libertà degli appalti. Il quadro è già complicato, che c’entrano anche le sanzioni?
Le sanzioni sono uno dei meccanismi con cui un’amministrazione pubblica si assicura che le aziende che lavorano per lei facciano bene il loro lavoro. Non spazzi la strada? Ti multo. Non svuoti i cassonetti? Altra multa. E sono contravvenzioni salatissime. Inoltre, un’azienda – o un gruppo di aziende – che abbia collezionato tante sanzioni e tanti disservizi, non è considerata virtuosa. Quindi perde punteggio nella partecipazione a eventuali altri bandi pubblici. In alcuni casi, perde del tutto il diritto di partecipare. Le sanzioni vengono fatte dall’amministrazione grazie al lavoro dei sorveglianti, il cui compito è di verificare che l’appalto sia eseguito correttamente. Secondo la magistratura, Orazio Fazio avrebbe accentrato questo genere di controllo, imponendo ai sorveglianti di non fare osservazioni contro Seneco. A sostenere la stessa tesi è anche l’ingegnere Salvatore Cocina, oggi pezzo grosso regionale ed ex dirigente dell’Ecologia del Comune di Catania da novembre 2014 a novembre 2015, quando uno scontro frontale con il sindaco Enzo Bianco sulle penali lo ha costretto ad andarsene. «Mi resi conto che l’ingerenza di Fazio – dice Cocina ai magistrati, a febbraio 2017 – era finalizzata alla non applicazione delle penali: in concreto faceva pressione sui sorveglianti affinché non rilevassero nelle proprie schede di accertamento i difetti nell’esecuzione del servizio, che invece era di pessima qualità».