Corruzione al Policlinico, la parabola del luminare Mignosa Dagli inizi con Abbate al caso abusi, fino ai soldi in bagno

«Ieri mattina, al bar, eravamo sconvolti. Non sembra credibile che si sia messo a fare queste cose, per di più per cifre ridicole». A Priolo Gargallo si fatica ad accettare ciò che le telecamere della guardia di finanza hanno ripreso all’interno del Policlinico di Catania: un imprenditore si alza, entra in bagno e lascia la mazzetta; un medico, rimasto solo nella stanza, la recupera e conserva, non prima di avere dato una controllata al contenuto della busta. I protagonisti sono Valerio Fabiano, legale rappresentante di una ditta specializzata in forniture sanitarie, e Carmelo Mignosa, luminare di cardiochirurgia. Entrambi arrestati e posti ai domiciliari. A essere originario del centro del Siracusano è proprio Mignosa. «Duemila euro li guadagna in poche ore, è un cardiochirurgo di fama mondiale», commenta chi lo conosce. Il riferimento è alla bustarella lasciata da Fabiano. L’imprenditore ai magistrati ha negato ci fosse un accordo a monte con il primario, sostenendo di avere cercato di oliare il rapporto nella speranza che ciò potesse portargli benefici per future commesse dall’azienda ospedaliera. Dal canto loro, i magistrati nella richiesta di misure cautelari hanno fatto riferimento a una gara d’appalto ben precisa: quella da 17 milioni di euro che da mesi è in corso e che porterà l’azienda sanitaria ad acquistare oltre un centinaio di prodotti. Tra le 31 imprese partecipanti c’è anche la Aretè di Fabiano.

Se c’è chi si dichiara incredulo, non sono pochi coloro che si chiedono se l’arresto sia il primo passo di un’indagine destinata ad allargarsi. O, richiamando il giaccone da sci in cui i finanzieri hanno trovato altri 20mila euro in contanti, il principio di una nuova valanga che potrebbe abbattersi sulla sanità siciliana a due anni dallo scandalo Sorella sanità. Agli inquirenti che gli chiedevano lumi sulle mazzette nascoste in camera da letto, Mignosa ha fatto il nome di un altro imprenditore che avrebbe pagato per ottenere favori. Al momento non è possibile stabilire se la lista dei beneficiari sia più lunga né se ad avere intrattenuto rapporti illeciti siano stati altri oltre Mignosa. Agli atti dell’indagine ci sono contatti tra Fabiano e altri dipendenti del Policlinico.

Ai più attenti e a chi conosce i corridoi dell’azienda ospedaliera universitaria il nome di Mignosa non richiama soltanto i successi professionali riassunti nelle venti pagine di curriculum che, la scorsa estate, hanno contribuito a fargli ottenere l’incarico di direttore dell’Uoc di Cardiochirurgia, con un contratto da quasi 144mila euro all’anno. Il primario, circa un decennio fa, rimase invischiato – con il sospetto di essersi macchiato di favoreggiamento – in una vicenda riguardante presunti abusi sessuali compiuti ai danni di studentesse universitarie da un suo collaboratore di fiducia. Una storia che ha portato a un processo ancora in corso in primo grado per il presunto responsabile, Santo Torrisi, e che vide l’archiviazione di Mignosa su richiesta della procura che, come riportato da La Repubblica, pur ravvisando «chiara connivenza», asserì che non era dimostrabile «nel dettaglio che il direttore del reparto fosse a conoscenza dei fatti» nel momento in cui gli stessi sarebbero accaduti. I sospetti, tuttavia, furono tali da contribuire a far maturare in Mignosa la decisione di lasciare l’azienda sanitaria. La stessa dove è rientrato in servizio a ottobre scorso. L’inchiesta sui presunti abusi portò i magistrati a sospettare anche una gestione allegra degli acquisti di materiale utili alle attività del reparto. Nel processo che ne seguì, Mignosa era accusato di falso e abuso d’uffico ma le accuse crollarono e il gup dispose la sentenza di proscioglimento

A marzo scorso, invece, poche settimane prima che la sua voce finisse registrata dalle microspie della finanza, Mignosa ha festeggiato l’incarico di docente universitario. Una scelta che il dipartimento di Chirurgia generale e Specialità medico-chirurgiche ha motivato con l’intento di «interrompere il declino e riportare all’antico prestigio la Cardiochirurgia catanese». Adesso però l’esperienza dell’insegnamento che quella medica hanno subito un pesante contraccolpo e bisognerà capire quale sarà la strategia difensiva dei legali del 60enne. L’evidenza della prova e l’ammissione di colpevolezza da parte dell’indagato, unita alla riqualificazione dell’accusa in corruzione per l’esercizio della funzione, potrebbero suggerire la strada del patteggiamento. «Ci sono indagini in corso e per il rispetto dovuto alla magistratura non rilasciamo dichiarazioni», chiosa Salvatore Trombetta, avvocato che difende Mignosa insieme al collega Emanuele Bosco.

A prendere posizione è stato invece il mondo sindacale. «La sanità rappresenta il costo maggiore nel bilancio di una regione ma sono i cittadini che pagano in termini di lunghe liste d’attesa che li costringono a riccorrere sia al sistema privato convenzionato, che sulle prestazioni erogate costruisce profitti milionari, sia non convenzionato con costi enormi per i singoli cittadini – ha detto Concetta La Rosa, segretaria generale Fp Cgil Catania -. Il sistema degli appalti dimostra ancora una volta come sia lo strumento facilitatore delle infiltrazioni e della creazione di sistemi di corruttela». Corruzione che scosse il Policlinico etneo già a metà anni Duemila, con lo scandalo che travolse un altro luminare di Cardiochirurgia: Mauro Abbate. Tra i pionieri dei trapianti di cuore in Italia, Abbate nel 2013 fu condannato in via definitiva a sei anni e otto mesi per avere chiesto denaro ai pazienti in cambio della garanzia di presenziare agli interventi chirurgici. È proprio con Abbate che Mignosa, nel 1989, iniziò a muovere i primi passi da assistente in sala operatoria. 


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